I DERIVATI ALEXANDRIA E SANTORINI DI MPS NASCONDONO LA PIU’ GRANDE TANGENTE DOPO LA MAXI-TANGENTE ENIMONT: Da Raul Gardini a David Rossi, due suicidi eccellenti – Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto

Data:


“… Poi c’è lui. Il signore che vedete moltiplicato in copertina: Mario Draghi. Un uomo cangiante, per molti versi misterioso; un falco e poi una colomba del rigore, come scrivevano di lui in Germania; un economista che citandone uno più importante, John Maynard Keynes, ha detto:
“Quando cambiano i fatti, io cambio le mie opinioni”. Sano pragmatismo o gesuitico trasformismo?”
Peter Gomez, “Cinquanta sfumature di Draghi – Fq Millennium”

“Non avevo idea di che cosa fossero i Credit Default Swap, sono un tipo all’antica”
George Soros, intervista di Charles Ferguson

Se guardi l’abisso dello shadow banking, l’abisso della finanza ombra ti guarda.
Si è tornati a parlare nei giorni di dicembre 2021 della morte di David Rossi, l’ex responsabile dell’area comunicazione del Monte Paschi di Siena morto suicida il 6 marzo 2013 gettandosi dalla finestra di Rocca Salimbeni della banca più catto-comunista d’Italia: Siena è una delle roccaforti del “delirio della provincia” nella “foresta pietrificata del credito” sempre uguale a se stessa, dove gli attori coinvolti a vario titolo – dagli esponenti della massoneria a metà tra folklore e orrore, agli uomini cerniera della Bancopoli della Toscana – sono individui caratterizzati da un grave disturbo piccoloborghese che li rafforza nel ruolo di guardiani dello status quo (come emerge benissimo dal documentario intervista di Enrico Mentana su La 7); no, non è una bella storia quella che fa da sfondo al suicidio dell’ex braccio destro dell’avvocato calabrese senza capitali Giuseppe Mussari perché nessuno, ma proprio nessuno si salva – con uno sfondo identico al contesto psicopatico in cui maturò il delitto Matteotti del giugno 1924.
Ma è anche vergognosa la speculazione che stanno facendo sulla sua morte, per costruire un romanzo criminale senza “factum probans”, a colpi di sensazionalismo e volgari attacchi alla magistratura – cui purtroppo si presta anche la psicologa che aveva in cura David Rossi, la dottoressa Carla Lucia Ciani, forse per sostenere la famiglia che è in cerca di pubblicità avendo gravi problemi economici. Nell’audizione cui è stata sottoposta da una Commissione parlamentare d’inchiesta da Quarto Potere che più fa confusione meglio è, la mental coach di banca Mps ha dichiarato, rispondendo alla domanda se secondo lei David Rossi era un uomo con ideazioni suicidarie: “Assolutamente no… mi ha detto: “Ci vediamo il 13, grazie per tutto, mi ha fatto bene parlare un po’”… Non ho avuto la percezione e non sono assolutamente in grado di poter immaginare il fatto che potesse prendere una decisione del genere (il suicidio, ndr). Ho lasciato una persona lucida e anche sul pezzo rispetto alle cose che avrebbe dovuto fare”.
Si tratta di un vero e proprio coup de theatre con tanto di flash dei fotografi e riprese della televisione, sullo sfondo della vergognosa conferenza stampa cui hanno partecipato quasi cinematograficamente la vedova di Rossi, Antonella Tognazzi, e la figlia Carolina Orlandi in evidente manierismo stereotipo da star piccolo-borghese che si guadagna i suoi minuti di celebrità.
Per non parlare delle manie di protagonismo della Daniela Santanchè, che fa parte dei “fascisti rossi”: più la spara grossa, meglio è. Come una presunta telefonata a David Rossi il giorno della morte; peccato che è stato rivelato nel pezzo “Morte David Rossi, il mistero dell’ultima telefonata: nei tabulati non ci sono tracce della chiamata della Santanchè – Versioni che non coincidono”, de Il Riformista.
Tra l’altro, le stesse dichiarazioni della mental coach del management di Mps appaiono in flagrante contraddizione con quanto lei stessa aveva detto precedentemente in sede di interrogatorio da parte dei magistrati di Siena.
Sono costretto ad autocitarmi rispetto al dossier del settembre 2021 “Mario Draghi è l’erede nel bene e nel male di Guido Carli: salvò Giuseppe Mussari, il Fiorani di Mps – Fenomenologia del

suicidio di David Rossi” – così i lettori potranno comprendere che qualcosa non torna:

“… Il lucidissimo Gianfranco Coppola nel suo pezzo “Cronaca di un suicidio annunciato. Un’inchiesta sulla morte di David Rossi”, impartisce ai dietrologi di questo mondo una lezione che andrebbe imparata a memoria: “… Rossi si tolse la vita in un momento in cui l’autorità giudiziaria accese un faro su chi gestì Mps e, in particolare, l’operazione Antonveneta, “in primis” l’ex presidente Giuseppe Mussari. E Rossi, che fino a quel momento aveva lavorato sotto l’ombrello protettivo del vecchio management, cominciò a perdere ogni certezza quando il 19 febbraio del 2013 subì (non in veste di indagato) una serie di perquisizioni, in ufficio, in casa e nella macchina. Pochi mesi prima (novembre 2012) aveva perso il padre e la crisi del Monte, per la quale lui temeva un arresto di lì a poco, si era andata ad aggiungere alle preoccupazioni per lo stato di salute della moglie. Poche ore prima del suicidio, Rossi, come riporta Ascheri, ebbe un colloquio con una “consulente aziendale – soggetto formatore”, la dottoressa Carla Lucia Ciani, cooptata dalla nuova dirigenza MPS per agevolare l’integrazione tra vecchi manager e quelli appena arrivati.
E la testimonianza della “coach” è illuminante perché evidenzia, in modo neutro e senza pregiudizi, un contesto “presuicidario”.
“Si sentiva quasi il senso di disgrazia imminente” – è il ricordo dell’esperta a proposito di David Rossi – questo era fortissimo, usava espressioni quali: “ho paura che mi possano arrestare”; “ho paura di perdere il lavoro” come se fosse accusato di qualcosa che addirittura pensava che io fossi lì per aiutarlo a comunicare le sue dimissioni”. E ancora, dalle parole della dottoressa Ciani: “L’impressione che ho tratto dall’incontro è che lui avesse vissuto l’esperienza lavorativa in un contesto protetto: ad un certo punto invece si è sentito solo e questa condizione gli ha creato una sorta di apnea da panico che non sapeva gestire… lui disse che non riusciva a trovare un appoggio e ciò gli dava una continua frustrazione. A me ha dato l’impressione che, perso il lavoro, (come lui pensava di perdere, ndr), avrebbe perso tutto, avrebbe perso se stesso, proprio perché non c’era distacco in lui fra vita privata e lavorativa, quasi che il suo ruolo professionale fosse tutta la sua vita”. Nel finale del verbale reso ai tre pm di Siena, viene sintetizzata dalla teste la pluralità di cause che avrebbe portato poi Rossi a uccidersi: “Mi parlò della paura di essere arrestato, del fatto che sua moglie non fosse in condizione di sostenersi, che avrebbe perso il lavoro se fosse successo qualcosa di grave…”.

Chiedo scusa ai lettori, per l’autocitazione da un precedente articolo del settembre 2021: ma c’è una Carla Lucia Ciani 1 e 2, e io non posso condividere la narrazione dell’omicidio che serve solo a confondere l’opinione pubblica per inconfessabili interessi di tornaconto. Anche se non ci sono dubbi: David Rossi perde la maschera del “falso Sé vincente” arrivando al “passaggio all’atto” suicidario, come responsabile del sistema comunicazione da Homo Sovieticus del Monte Paschi di Siena – quale anello debole della catena, all’interno della vergognosa autorizzazione del 17 marzo 2008 firmata Banca d’Italia alla scalata di Mps ad Antonveneta realizzata da un uomo socialmente pericoloso e legato alla massoneria come Giuseppe Mussari, quasi avvocato, quasi capitalista, quasi banchiere; alla Banca d’Italia c’era Mario Draghi, culpa in vigilando.
Il punto è che Rossi, non privo di diverse qualità, presentava delle fragilità identiche per analogie a quelle di Roberto Calvi, Presidente del Banco Ambrosiano morto impiccato all’impalcatura metallica del Blackfriars Bridge a Londra il 17 giugno 1982: anche in Calvi, come notò Piero Ottone nel suo libro stupendo “Il gioco dei potenti”, non c’era distacco tra vita lavorativa e vita privata;
ad un certo punto il “personaggio” crollò.

Quella di Mps è una storia grave quanto la maxi-tangente Enimont, della quale il postino era Luigi Bisignani per conto di Giulio Andreotti e monsignor luciferino Donato de Bonis. All’interno delle “porte girevoli” dello Ior – che giganteggia tanto sullo sfondo del suicidio di Raul Gardini quanto di quello di David Rossi.
Ma c’era un livello più alto di quello dello stesso Mussari, impegnato nella costruzione illecita dei derivati Fresh e Alexandria che non servivano soltanto a “strapagare” Antonveneta scalandola senza soldi (sic!), ma a creare anche una tangente parallela che è andata a Mussari e a qualcuno che lo proteggeva molto in alto: un cittadino al di sopra di ogni sospetto. E’ Elio Lannutti a denunciarlo e scriverlo nel libro “Morte Paschi di Siena” nel capitolo “Sciarada di pagamenti”.
E’ prezioso quanto scrive il cronista di razza Carlo Di Foggia nella rivista “Cinquanta sfumature di Draghi – Mensile N 50 Anno 5 di Fq Millennium” del bravissimo Peter Gomez, perché il sospetto è che David Rossi – un uomo dal sistema nervoso fragile, come aveva detto la Antognazzi stessa a Crime Investigation, e rimasto scioccato dall’ispezione delle Fiamme Gialle – conoscesse il livello superiore alle trame banditesche di Mussari nel “grande flop del risiko bancario”, dove ci sono i buchi neri della shadow finance.
Qui c’è odore di Opus Dei, che stritolò prima Roberto Calvi, poi Raul Gardini e infine David Rossi: tre persone che hanno fatto decisamente il passo più lungo della gamba, e per questo sono morti nel cosiddetto “passaggio all’atto” suicidario:

“Il disastro Montepaschi – … Nell’estate (del 2008, ndr) Botin (legatissimo all’Opus Dei, ndr), tramite il suo proconsole italiano Ettore Gotti Tedeschi (ex direttore dello Ior, ndr), convince l’avvocato calabrese – trasformato dai potentati senesi in banchiere (“dilettante” per sua stessa ammissione, e forse per questo acclamato alla guida dell’Abi, la Confindustria del credito) – a strapagare Antonveneta, che il Santander aveva acquistato solo pochi mesi prima per 6 miliardi dallo spezzatino di Abn Amro.
Mussari spende 9 miliardi e se ne accolla altri 7,5 di debiti in pancia ad Antonveneta. L’operazione si chiude nell’estate del 2008, quando le avvisaglie della crisi finanziaria mondiale si sono già manifestate, e scassa i conti dell’istituto, costretto a nascondere dietro ai “derivati” (i famosi Alexandria e Santorini) le emoraggie a bilancio”.

Fermiamoci un momento. Perché il diavolo è nei dettagli. Nei derivati Alexandria e Santorini collegati alla grande crisi della cartolarizzazione del credito che ha inizio con Lehman Brothers, erano nascosti i soldi per pagare una tangente a very important people, secondo l’atto d’accusa documentalmente supportato di Elio Lannutti – Presidente di Adusbef Consumatori – nel capitolo “Surrealismo finanziario – La madre di tutti gli affari” (che chi scrive ripesca dal pezzo “Mario Draghi è l’erede nel bene e nel male di Guido Carli” pubblicato su Libertates del 15 settembre 2021): “… “Lo Ior venne coinvolto nell’affare (Mps – Antonveneta, ndr). I dirigenti dello Ior organizzarono incontri qui in Vaticano”, ha rivelato l’anonimo monsignore che lavorava nelle finanze vaticane”. Paolo Mondani di Report: “Mussari era accompagnato da qualcuno in quegli incontri, lei se lo ricorda?” “Veniva con David Rossi, il povero ragazzo scomparso tragicamente”.

Questa è una deduzione: ma se David Rossi accompagnava Mussari in Vaticano, era al corrente delle operazioni compiute da quest’ultimo con i “banchieri di Dio”.
Sempre da “La madre di tutti gli affari” di Lannutti e Fracassi: niente è cambiato dai tempi di Marcinkus:

“… E poi c’erano il Vaticano e lo Ior. Una fonte interna al Vaticano ha raccontato al Corriere della Sera: “Furono aperti almeno quattro conti intestati a quattro organizzazioni religiose, che coprono cinque personaggi che hanno avuto un ruolo chiave nella costruzione dell’acquisto di Antonveneta”.
Ha rivelato a Report un anonimo monsignore che lavorava nelle finanze vaticane: “i convenuti decisero di aprire quattro conti presso lo Ior, intestati ad altrettanti enti religiosi”.
Paolo Mondani: “E questi quattro conti corrispondevano ad altrettante persone fisiche?”
“Sì, esatto. E tra loro c’erano esponenti di Montepaschi”.
“E a che cosa sono serviti questi conti?”
“Sono serviti a far transitare una parte del denaro dell’operazione, rendendola non tracciabile”.
“Sono serviti a pagare una tangente?”
“Beh, anch’io lo immagino”.
“E quei soldi, oggi, dove sono?”
“Una parte sta dentro il Vaticano. Non dimentichi mai che lo Ior ci ha guadagnato”.
La ricostruzione svolta da Elio Lannutti fa venire i brividi: “Il testimone del Corriere della Sera andò oltre, mostrando un foglietto con il numero di uno dei quattro conti, il 779245000141, aperto il 27 ottobre 2008, codice shift IOPR – VAVX che rappresenta la conferma dell’avvenuta ricezione di denaro”. L’identificativo D779245000141 segnalava il “deposito di centomila euro in contanti avvenuto il 2 novembre 2009”. Infine, con l’identificativo D7421H500002, su quel conto arrivarono “un milione e duecentomila di euro in tre tranche, che successivamente fu interamente prelevato.
Soldi (occultamente inseriti nel “derivato Alexandria” che consentì a Mps l’acquisto di Antonveneta in barba alle due “diligence”, ndr) che sarebbero serviti a pagare “le persone utilizzate nel 2007 per organizzare la seconda vendita di Antonveneta”, quella al Monte.
Ha scritto il Corriere della Sera: “Secondo gli inquirenti, il procuratore aggiunto Nello Rossi e i sostituti Stefano Rocco Fava e Marco Pesci, gli intestatari dei conti si sarebbero appoggiati a una banca italiana, quella “del Fucino, con sede in via Tomacelli a Roma”. Un metodo di pagamento di tangenti che ricorderebbe quello ricostruito, con dovizia di particolari nel libro Vaticano Spa, dal giornalista d’inchiesta Gianluigi Nuzzi. Il reporter si avvalse dell’archivio personale di un prelato vaticano, monsignor Renato Dardozzi, un consigliere della Segreteria di Stato della Santa Sede che aveva avuto accesso a tutte le vicende dello Ior e del Vaticano dagli anni Ottanta fino alla metà dei Novanta. Sistema che fu utilizzato per riciclare una tangente da 150 miliardi di lire che Enimont, la multinazionale petrolchimica, guidata dal finanziere Raul Gardini, fece pervenire all’inizio degli anni Novanta a quasi tutti i partiti dell’arco costituzionale…” (le informazioni sono interamente tratte dal libro “Morte Paschi di Siena” edito da Paper First di Franco Fracassi e Elio Lannutti, ndr).

L’ex segretario dello Ior Ettore Gotti Tedeschi che conosce l’intero svolgimento della vicenda Mps e rassegnò le dimissioni nelle mani di Benedetto XVI a sua volta dimessosi da pontefice, ha dichiarato al giornalista Antonino Monteleone per Le Iene: “Sono tangenti, mi pare evidente. Ma nessuno le confermerà l’esistenza di quei conti, perché lì c’era di tutto. Qui si tratta della Curia vaticana. Lì dentro c’era tutto quello che lei non può immaginare. C’erano delle persone che in un secondo cambiavano le intestazioni di tutti i conti. E’ molto probabile quindi che quei conti ci fossero. Stavo per perdere la fede…”.
E’ il cosiddetto lato oscuro.
Oggi lo sappiamo grazie alle convergenti dichiarazioni di Davigo e Di Pietro: se Gardini non si fosse suicidato sparandosi un colpo di Walter PPK alla testa il 23 luglio del 1993, la Procura di Milano avrebbe chiesto al Parlamento l’autorizzazione all’arresto di Giulio Andreotti che come “primus super pares” nel Caf, distrusse la joint venture tra Eni e Montedison, “quella che creò,” – come ha scritto Piero Colaprico – “secondo il pubblico ministero di Mani Pulite Antonio Di Pietro, non solo una fusione aziendale che avrebbe potuto cambiare la chimica italiana, ma anche “la madre di tutte le tangenti”…”.
Così come il suicidio di David Rossi ha salvato una persona altrettanto potente quanto Giulio Andreotti dall’operazione Montedison all’operazione Mps-Antonveneta, nelle eterne sliding doors dello Ior, dove c’è il tesoro di Belzebù.
Torniamo alla cronaca imperdibile di Carlo Di Foggia:

“Fresh, questo sconosciuto. Quando Mussari, in quel momento anche presidente dell’Abi, decide di scalare Antonveneta telefona a Draghi. Gli illustra l’operazione e si sente chiedere: “Ma i soldi li avete?”.
La risposta è sì, ma come vedremo è, per usare un eufemismo, estremamente ottimistica.
Il 17 marzo 2008 Draghi firma l’autorizzazione. L’operazione è subordinata a un rafforzamento patrimoniale di Mps: 5 miliardi di aumento di capitale, più uno riservato alla banca Jp Morgan, e l’emissione di obbligazioni per 2 miliardi. Saccomanni riferirà di un incontro “ai primi di marzo” in cui i vertici di Mps, al cospetto di Draghi e dei suoi uomini, “caldeggiarono la bontà delle azioni di rafforzamento che la banca aveva fatto pur di acquisire Antonveneta”. I manager illustrano anche l’operazione con Jp Morgan: è collegata a un titolo (il “Fresh”) che – ma lo si scoprirà solo dopo – di fatto traveste un prestito obbligazionario da aumento di capitale, non computabile a pieno nel patrimonio di vigilanza, per evitare alla Fondazione Mps, padrona della banca, di vedere diluita la sua quota nel capitale.
Qui si toccano vette surreali. Saccomanni dice ai pm: “Devo dire che quell’operazione era particolarmente complessa, in ragione dei contratti a essa collegati, e presentava degli aspetti di assoluta novità”. Al punto da far preoccupare Bankitalia sul fatto che “l’operazione, nei suoi aspetti più innovativi, cioè il collegamento con uno strumento strutturato come il Fresh, fosse validata in ambito europeo”. Bankitalia dirà poi di essere stata ingannata e multerà i vertici di Mps. Certo l’immagine del banchiere “dilettante” Mussari che illustra “gli aspetti innovativi” del Fresh a Draghi e agli altri dirigenti della Banca centrale, che non capiscono, fa impressione”.

E, infatti, è una scena poco credibile.
Fermiamo un attimo il thrilling dell’esperto di shadow banking Carlo Di Foggia.
Ugo La Malfa, che aveva negato l’aumento di capitale alla Banca Privata Italiana dell’avvocato siciliano Michele Sindona, si rivolta nella tomba.
Perché Mario Draghi salva dalle patrie galere il social climber, identico a Fiorani, Giuseppe Mussari (anche il banchiere di Lodi Gianpiero Fiorani era protetto dal governatore Antonio Fazio, predecessore di Draghi, ma la magistratura fece in tempo a bloccarlo e finì in carcere per 6 mesi di detenzione; se Fazio, anch’egli travolto dallo scandalo dei “furbetti del quartierino”, non si fosse dimesso in quel momento forse sarebbe stato sottoposto a un’ordinanza di custodia cautelare: era la preoccupazione espressa al telefono da Carlo De Benedetti a Piero Ottone).
Mario Draghi che ha certamente un profilo biografico superiore al provincialissimo Fazio salva dalla prigione il “capitalista senza capitali” alla Cezar Birotteau Giuseppe Mussari: prende così la più discutibile decisione della sua carriera – la protezione accordata da Bankitalia alla finanza criminogena di Mussari –, laddove lo stesso Andreotti aveva fallito tentando di coinvolgere la Banca d’Italia nel salvataggio di Michele Sindona.

Continuava Carlo Di Foggia nel dossier da egli curato per Fq Millennium: “… Il resto è storia nota: l’infinita crisi del Monte, nascosta attraverso i derivati, va concludendosi con il probabile scioglimento dentro Unicredit, dove ora sono arrivati l’ex consulente Orcel e l’ex ministro Pd Pier Carlo Padoan (che nel 2017 ha nazionalizzato Mps). La vulgata vuole che siano stati i nuovi vertici dell’istituto senese, Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, a scoprire il trucco dei derivati trovando nella cassaforte di Vigni il contratto con Nomura su Alexandria (lo rivelò Il Fatto a gennaio 2013). Indagini e processi hanno però mostrato che Bankitalia aveva evidenti indizi di Alexandria e Santorini almeno dal 2010. E la sostanziale certezza nel 2011, al termine di un’ispezione che si conclude a settembre, con Draghi in partenza per la Bce.
Nell’aprile 2016, alle Camere, il governatore Ignazio Visco rivendicherà di essere stato lui – appena arrivato, nel novembre 2011 – a convocare Mussari e Vigni a Roma e a chiedergli di andarsene: “Non avevo potere di farlo, ho corso un rischio personale”.
Rischio – è il sottotesto – che Draghi non aveva voluto correre.
Erano i giorni in cui si insediava ufficialmente a Francoforte, con la crisi del governo Berlusconi e la nascita di quello di Monti. L’attuale presidente del Consiglio, quando la bomba esplode definitivamente, è in Bce da anni, è già “l’uomo che ha salvato l’euro”: nessuno gliene chiederà mai conto”.
Ps – Per poco, Draghi – che non ha voluto rivelare alla pubblica opinione secondo Ignazio Visco il trucco dei derivati Alexandria e Santorini – non ha fatto la fine di Antonio Fazio.
O forse, rischiava una debacle che sarebbe stata anche più grave dello stesso Fazio.
Perché il successo è l’altra faccia del fallimento.

“Ho un messaggio chiaro da darvi. Nell’ambito del nostro mandato siamo pronti a fare tutto il necessario a preservare l’Euro. E credetemi: sarà abbastanza”, dichiarò da Londra il 26 luglio 2012 in piena sindrome di hybris Super Mario, come Neville Chamberlain.
Questa dichiarazione è l’altra faccia del suicidio di David Rossi a Rocca Salimbeni?
Lux et tenebrys. “Chi non vuol far sapere una cosa, in fondo non deve confidarla neanche a se stesso, perché non bisogna mai lasciare tracce.” Giulio Andreotti

di Alexander Bush

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Alexander Bush
Alexander Bush, classe '88, nutre da sempre una passione per la politica e l’economia legata al giornalismo d’inchiesta. Ha realizzato diversi documentari presentati a Palazzo Cubani, tra questi “Monte Draghi di Siena” e “L’utilizzatore finale del Ponte dei Frati Neri”, riscuotendo grande interesse di pubblico. Si definisce un liberale arrabbiato e appassionato in economia prima ancora che in politica. Bush ha pubblicato un atto d’accusa contro la Procura di Palermo che ha fatto processare Marcello Dell’Utri e sul quale è tuttora aperta la possibilità del processo di revisione: “Romanzo criminale contro Marcello Dell’Utri. Più perseguitato di Enzo Tortora”.

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