FUGA DA CREDIT SUISSE: LO STATUS QUO NON E’ PIU’ UN’OPZIONE. WALL STREET PRECIPITA, ALLA FINE DELL’OCCIDENTE

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“Cinquecento miliardi in una settimana sono i soldi persi dagli investitori nel calo dei titoli in Usa,
Europa e Giappone. Biden chiede nuovi strumenti contro i dirigenti colpevoli dei fallimenti”
Paolo Mastrolilli e Giovanni Pons, “La liquidità non ferma la crisi delle banche”

“… Nei palazzi del potere politico ed economico si spera che il “contagio” – un termine sinistro dopo gli anni del Covid, ma purtroppo adatto alla situazione – sia limitato, o addirittura fermato.
Del resto il crollo disordinato del sistema finanziario nel 2008, e le sue conseguenze sull’economia reale specie in Europa, pesano come macigni nella coscienza collettiva della classe dirigente mondiale. Fatte le debite proporzioni, il tabù dell’iperinflazione di Weimar con le sue tragiche conseguenze, viene riprodotto adesso su scala globale…”
Francesco Manacorda, “L’azzardo morale dei banchieri”

Quanto scommettiamo che ci sarà la più grande crisi dal 1929? Con la “descente aux enfers” della corsa agli sportelli? Vorrei cominciare con un incipit inconsueto per un articolo, ma senza parlare di sesso degli angeli come il lettore disattento potrebbe essere erroneamente indotto a credere: è tempo ormai di sostituire la Ragione con la Fallibilità, ma Christine Lagarde “aurea mediocritas” – che una mia amica molto bene informata mi ha detto colleziona diamanti, e forse è il caso di diffidare delle persone con le ruminazioni del collezionismo dai diamanti ai libri – non ha fatto sua la teoria della riflessività, consentendo la “distruzione creatrice” del Too big to fail.
Il più grande errore nella sua carriera. Allora, per chi scrive è facile dirlo dall’esterno della stanza dei bottoni e mi manca la “verità della dimostrazione” che consenta di integrare un’intuizione a-probatoria alla prova: ho ragione. Ma la ragione non è la realtà, e non mi rimane altro che la via d’uscita di un ragionamento “contro-intuitivo”: “Se il Colosseo fosse in Antartide, sarebbe pieno di pinguini”, ha scritto con formidabile senso dell’umorismo George Soros nei suoi diari.
Se la Lagarde sospendesse la liquidità ai mercati, il mondo si salverebbe. Ma è invece più probabile un altro scenario: il “Too big to fail” morirà per consunzione, con il risultato mostruoso dell’esaurimento tout court di denaro in circolazione. Non sarà facile argomentare questa tesi che è stata esposta per la prima volta meno di un anno fa, ma non è un’impresa impossibile per quanto ambiziosa. C’è un’altra battuta di Soros degna di nota: “La consapevolezza dei propri limiti rischia di essere autoinvalidante”; è oltrepassando il limite che si ottengono – a volte – risultati eccezionali.
Vale la pena di guardare l’orizzonte, saltando il porto. Faccio mia un’altra battuta di Eugenio Scalfari alle figlie: “E’ meglio conoscere le linee guida che i dettagli”. Rimane il fatto che l’economia nella sua meravigliosa ambiguità fondamentale è collegata – come “primum movens” – al mistero; il mistero sospende il mito dell’eziologia alla Irving Stone. Cominciamo. Il corrispondente de “la Repubblica” Paolo Mastrolilli scrive il 18 marzo 2023, in quella che è ormai la cronaca della Storia tra i venti dello Zeitgeist: “Gli interventi straordinari per salvare le banche in crisi non calmano i mercati, dove le azioni continuano a calare, mentre il presidente Biden chiede al Congresso di approvare nuovi strumenti per punire i dirigenti colpevoli dei fallimenti (significa in realtà spostare l’oggetto dell’avversione, ndr). I 30 miliardi di dollari che undici istituti americani hanno versato nelle casse di First Republic, e i fondi girati a Credit Suisse dalla banca centrale svizzera, avevano aiutato Wall Street a risollevarsi giovedì, ma la fiducia non è durata a lungo. Come prima cosa, molti investitori e correntisti non sono sicuri che bastino a salvare le banche in difficoltà, e temono che dietro l’angolo ci siano altre situazioni critiche pronte ad esplodere. A maggior ragione se la prossima settimana la Federal Reserve continuerà ad alzare i tassi per frenare l’inflazione, con conseguenze che potrebbero travolgere altri istituti in difficoltà. First Republic ha alimentato l’incertezza, tagliando i dividendi, mentre alla conseguenza si è aggiunta la notizia che anche Svb Financial, ramo finanziario della Silicon Valley Bank, ha fatto ricorso al Chapter II per chiedere laprotezione dei creditori (il gattopardo del PIANO TARP: scaricare le perdite sui contribuenti, plus ca change, plus c’est la meme chose, ndr).
Questa mossa la isola dalla banca fallita, consentendo di cercare nuovi proprietari per le attività non finite sotto il controllo della Federal Deposit Insurance Corporation. Che, secondo il Financial Times, potrebbero anche decidere di farsi carico delle perdite di Silicon Valley Bank e Signature Bank se ciò dovesse aiutare la vendita delle due banche fallite. Per Signature si ipotizza anche l’acquisto da parte di Bank of America.
In questo quadro Goldman Sachs, e altri analisti, hanno aumentato le percentuali del rischio recessione, che si avvicina perché la crisi bancaria provocherà comunque un rallentamento dell’economia, anche se non portasse ad un vero e proprio collasso del sistema…”.
Avete capito bene? Vero e proprio collasso del sistema, che – in termini “concreti”, come il lettore disattento commetterebbe l’errore di dire – vuol dire esaurimento del denaro. No exit strategy.
Se il denaro si esaurisce (e “la Repubblica” è arrivata a costare 3 euro), significa corsa agli sportelli, fame, sommovimenti rivoluzionari.
Però la Francia nei momenti di crisi al bordo del precipizio, può contare sull’Establishment al pari dell’Inghilterra post Liz Truss e Macron – compreso lucidamente da Carlo De Benedetti, cioè un enfant prodige prestato alla politica – ha fatto bene 2 cose ancorchè con un uso autoritario dell’articolo 49.3 per bypassare il Parlamento: l’introduzione del salario minimo legale e l’introduzione di “France Travail” che è un embrione dello Stato misto, nella versione “demoplutocratica” – per usare un neologismo caro a Mussolini – del New Deal keynesiano opposto al populismo criminogeno di Jean Luc Melenchon, l’“avvocato del popolo”.
Forse influenzato dall’erotizzante Première dame Jean Marie Claude Brigitte Trogneux. Il potere è femmina. Il commento ottimo di Stefano Cappellini “Dove porta il metodo Landini” “… ha dimostrato”, come afferma lo stesso Cappellini, “che nel suo repertorio (di Giorgia Meloni, ndr) non c’è solo l’arrocco ideologico talvolta ottuso, figlio della sua formazione politica, che la incarta ancora su molti temi, ma anche la volontà di interpretare il ruolo in modo meno arcigno…” e il passo successivo è un pragmatismo keynesiano che tuttavia non ha neanche Tito Boeri (sic!), figuriamoci se dobbiamo aspettarcelo dalla Iron Lady Giorgia!
La Meloni farebbe bene a leggere Robert Skidelsky, invece che ad avversare l’elitarismo insieme all’amico visionario Guido Crosetto, che davanti a Tony Blair in videocollegamento si comportava come un cane bastonato…

Forse l’analisi anche emozionalmente connotata di chi scrive si è allungata in modo eccessivo e in violazione della “lectio magistralis” di Indro Montanelli – “un concetto per articolo” –, ma si avverte qui l’urgenza di dire che un’epoca è finita e la governante lineare (ma non geniale) Christine Lagarde, borghesemente brava nel senso deteriore del termine e senza avere l’orizzonte di Dominique Strauss Khan, che fu travolto dall’Hotel Sofitel a metà tra “covert action” e sexual addiction estrema (Nafissatou Diallo ha incassato 32 milioni di dollari da Anne Sinclair ed è stata eterodiretta?), si sta comportando come il comandante del Titanic descritto da Irving Stone nel libro “Le passioni della mente. Il romanzo di Sigmund Freud”: “… Professore, ha mai sentito la storia di quell’ufficiale del Titanic che fu scaraventato in mare dall’esplosione d’una caldaia? Gli domandarono: “In quale momento avete lasciato la nave?”. E lui, fieramente: “Non sono stato io a lasciare la nave, signore; è stata lei a lasciare me” “…”.
E’ un passaggio del dialogo tra Ernest Jones e Sigmund Freud, mentre il primo tentava invano di convincere il medico viennese a lasciare l’Austria per non finire tra i forni crematori dei campi di concentramento ad Auschwitz. Sigmund rischiò una brutta fine.
Orbene, nella stessa misura la femme fatal Lagarde è legata ossessivamente ai tassi d’interesse; prima i diamanti, poi i tassi d’interesse “whatever it takes”: qualunque cosa accada, anche la crisi più grave dal ’29.
Ma un’epoca storica è finita. E, forse, anche il raffinato analista Francesco Manacorda lo scrive su “la Repubblica” con parole diverse ma sostanzialmente identiche: “… Tira un amareggiato sospiro di sollievo il presidente del Credit Suisse Charles Lehmann (no, non vi preoccupate, non è uno dei famosi Brothers del 2008, ma solo un suggestivo scherzo dell’onomastica), esulta – comprensibilmente – “per la risposta rapida”, la presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde, che considera la decisione come una “garanzia per la stabilità dei mercati finanziari”. Stamattina (lunedì 20 marzo 2023, ndr) sentiremo la loro opinione, quella dei mercati, che si esprimeranno comprando o vendendo… C’è da sperare che a tanta attenzione dei vigilanti corrisponda un ottimo stato di salute dei vigilati, anche se in questi ultimi giorni il mercato non pare aver fatto troppe distinzioni. Ma il problema resta sempre lo stesso: chi salva il capitalismo dai capitalisti? O, per essere più precisi: chi salva una certa finanza dalla pervicace tentazione di cercare scorciatoie in nome del profitto, di accumulare rischi esagerati puntando a vincere sempre e comunque, sapendo che il banco dell’intervento pubblico è invece sempre disposto a perdere per evitare danni peggiori?”.
Una sintesi alla Emmanuel Carrère, quella di Francesco Manacorda: lasciatemelo dire, con una punta di compiaciuto snobismo.
Io vi dico una cosa: le politiche monetarie tout court sono fallite, e l’inconsueta riflessione di Carlo Lottieri inizialmente attestato su posizioni “reaganiane” troppo ideologiche ha il merito di chiarirlo bene, forse al di là delle sue stesse intenzioni.
E’ oggettivamente indimostrabile questa posizione, che è sostenibile da chi scrive soltanto sotto forma di intuizione; l’intuizione è collegata “eziologicamente” alla riflessione di Giovanni Pons nell’articolo “Fuga da Credit Suisse. La crisi delle banche è già costata 500 miliardi”: “L’onda lunga del collasso della Silicon Valley Bank è costato agli investitori mondiali quasi 500 miliardi di dollari. E’ il calcolo che ha fatto il Financial Times sul calo complessivo registrato dai titoli delle banche negli Stati Uniti, in Europa e in Giappone nel corso della settimana appena conclusa. Ma la novità è che potrebbe non essere finita qui. Il problema ora è concentrato sul destino del Credit Suisse, i cui titoli ieri (17 marzo 2023, ndr) hanno lasciato sul campo un altro 8% incuranti del fatto che la Banca Nazionale Svizzera mercoledì sera aveva messo a disposizione 50 miliardi di franchi di liquidità. La mossa è stata dettata dal fatto che, secondo alcune indiscrezioni di mercato, la differenza tra depositi a breve e attività a breve della banca sia pari a 36 miliardi. Il bazooka da 50 miliardi messo sul tavolo si pensava potesse calmare gli animi e arrestare i deflussi.
Che però sembra siano continuati anche ieri (venerdì 17 marzo 2023, ndr), anche se i numeri precisi li conosce solo la banca centrale e in base ad essi deciderà nel week end se saranno necessari nuovi interventi. “Lo status quo non è più un’opzione”, ha scritto il 16 marzo Kian Abouhssein, analista di JPMorgan.
Il nervosismo degli operatori è andato crescendo durante la giornata di ieri (19, ndr) man mano che sono trapelate notizie sull’andamento dei flussi finanziari della banca.
Mornigstar, per esempio, ha fatto sapere che tra il 14 e il 15 marzo il Credit Suisse ha subìto perdite di 450 milioni di deflussi netti dai suoi fondi in gestione negli Usa e in Europa…”.
Tale fatto, significa sic et simpliciter che si stanno esaurendo le riserve di denaro a livello globale.
La liquidità dalle Banche Centrali ai mercati non arriva all’economia reale ma è artificiosa, così c’è un feedback negativo. Si annuncia l’ennesimo salvataggio a spese dei contribuenti dopo quarant’anni di “Too big to fail”: il salvataggio primigenio a spese della collettività fu fatto nel 1987, quando si temeva il riesplodere della crisi del ’29, inaugurando così – nel penultimo anno dell’era Reagan – la socializzazione delle perdite e la privatizzazione dei profitti.
Continuava Giovanni Pons: “Bloomberg ha scritto che grossi clienti asiatici, sia facoltosi privati che aziende, avrebbero chiesto alla banca svizzera di trasformare i loro depositi in più sicuri titoli di Stato. E in serata la Reuters avvertiva che alcune tra le più grandi banche europee, tra cui Deutsche Bank e Sociéte Génerale, hanno posto delle restrizioni alle operazioni aventi come controparte il Credit Suisse.
Insomma intorno all’istituto elvetico si sta creando il vuoto, già da qualche giorno. Proprio mercoledì scorso, infatti, era stata una mossa di Bnp Paribas a scatenare il ribasso di Borsa, stoppando i rinnovi di contratti derivati nei quali la banca svizzera era coinvolta. Quella decisione aveva fatto impennare il prezzo del Credit Default Swap, cioè l’assicurazione contro il fallimento del credito della banca…”.

A tal proposito, c’è una battuta formidabile di George Soros che è manifestazione di Weltanschauung: “Non importa affatto se hai ragione o no. Ciò che importa è quanti soldi guadagni quando hai ragione e quanti soldi perdi quando hai torto”. Oggi si possono usare i CDS per immunizzarsi dal rischio del ripetersi di una nuova crisi come quella del ’29; del resto, alcuni analisti avevano previsto con settimane di anticipo l’attacco terroristico alle Twin Towers dell’11 settembre 2001. La previsione è semplice, e fa parte della realtà. Alcune previsioni si rivelano infondate, altre no.
Quest’ultimo fatto – surreale ma vero – emerge anche nel film contortamente geniale “Effetti collaterali” di Steven Soderbergh.
Nel Giornale dell’Università Bocconi alla voce L’angolo del penalista, esce un articolo a firma di Ghiron del 18 settembre 2020, “Terrorismo e mercati: la nascita dei criminali insider”, dove l’autore osserva: “L’11 settembre 2001 uno dei più gravi attentati terroristici della storia sconvolse il mondo. Tale avvenimento non mancò di produrre effetti sul piano giuridico; in particolare, la rilevazione di anomale operazioni poste in essere sui mercati finanziari prima dell’attacco ha fatto scorgere nuove esigenze di tutela, portando all’introduzione di una nuova fattispecie incriminatrice: nasce così la figura del criminal insider.”

A parere di chi scrive la figura del “criminal insider” è sub-giuridica o dai contorni metaprocessuali, più che giuridicamente inquadrabile; non c’è “notitia criminis” che tenga, e a tal proposito corre alla mente una battuta del genio di giornalismo Giuseppe Turani: “Insider trading? E’ la finanza”, che non ha fatto una bella fine. Continuava l’articolo da L’angolo del penalista: “… E’ dunque evidente come un aspetto del criminal insider che merita di essere approfondito sia proprio quello relativo alla sua genesi. Questa figura, si collega storicamente all’attacco terroristico alle Torri Gemelle, avvenimento che ha prodotto degli effetti significativi per i listini di borsa, soprattutto per le società che risultavano maggiormente coinvolte nella tragedia. In particolare, l’ingente numero di azioni vendute sul mercato nei giorni antecedenti l’attacco ha fatto emergere l’esigenza di ampliare l’ambito soggettivo del delitto, facendovi rientrare coloro che potrebbero influenzare il corretto funzionamento dei mercati attraverso l’impiego di informazioni da ottenere mediante la preparazione o l’esecuzione di attività criminose.
Nel lasso di tempo compreso tra il 26 agosto e il 10 settembre 2001 si inizia ad osservare diversi movimenti anomali che interessano i mercati finanziari; più specificamente, un gruppo di speculatori che la SEC (Security Exchange Commission) identifica come israeliani, vende allo scoperto 38 diverse azioni destinate a crollare l’indomani degli attacchi terroristici, generando così i profitti di milioni di dollari.

Ad ogni modo, nonostante le numerose indagini svolte da SEC e da FBI, non si è mai effettivamente accertata una reale differenza tra i suddetti movimenti finanziari e gli avvenimenti dell’11 settembre. Queste anomalie, però, hanno attirato l’attenzione di diversi accademici che hanno analizzato la questione da un punto di vista marcatamente tecnico, cercando di identificare, attraverso una puntuale valutazione delle operazioni poste in essere nell’arco di tempo considerato, un collegamento tra il fenomeno finanziario e quello terroristico…”.
Il punto è che nell’intersezione, e/o nella “liaison dangereuse” tra realtà soggettive e realtà oggettive, gli attacchi di Al Qaeda erano compatibili con l’insider trading dei mercati nel settembre 2001, ma lo stesso non ne era il “primum movens”… Certi accademici e giuristi alla Luciano Gallino sparsi tra l’Italia e gli States hanno l’illusione di riprogettare la realtà con il trucco della cospirazione, anziché tenerne conto.
C’è in archivio una memorabile intervista al trader italo-iraniano Alessio Rastani di dieci anni fa della Bbc: “Io sogno una recessione ogni notte”, con gli “echi” della volpe della Sec Joseph Patrick Kennedy. I tassi d’interesse non sono più praticabili tout court, ed è insufficiente spiegare perché.
Le cose accadono semplicemente perché devono accadere, come talvolta ricorda lo smithiano Alessandro De Nicola su “Affari e Finanza”; ma certamente è la fine di un’era, dal crepuscolo della Belle époque alla morte della New Economy. La parola d’ordine è una sola: DISTRUZIONE CREATRICE+DEFICIT SPENDING.

Ridateci Dominique Strauss Khan, quasi travolto dalla “sindrome di Napoleone”. Ma, come si dice in casi del genere, questa è un’altra storia…

di Alexander Bush

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Alexander Bush
Alexander Bush, classe '88, nutre da sempre una passione per la politica e l’economia legata al giornalismo d’inchiesta. Ha realizzato diversi documentari presentati a Palazzo Cubani, tra questi “Monte Draghi di Siena” e “L’utilizzatore finale del Ponte dei Frati Neri”, riscuotendo grande interesse di pubblico. Si definisce un liberale arrabbiato e appassionato in economia prima ancora che in politica. Bush ha pubblicato un atto d’accusa contro la Procura di Palermo che ha fatto processare Marcello Dell’Utri e sul quale è tuttora aperta la possibilità del processo di revisione: “Romanzo criminale contro Marcello Dell’Utri. Più perseguitato di Enzo Tortora”.

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