“E’ meglio avere all’incirca ragione, che precisamente torto”
John Maynard Keynes
Good bye Esprit des Lois. Se non hanno pane, date loro brioches. Diventeremo Fallibili al prezzo della III guerra mondiale? Due fatti sono certi: la III guerra è cominciata ufficialmente con l’elezione di Trump e l’umiliazione di Zelensky alla Casa Bianca, che è l’altra faccia di “Rearm Europe” cioè il keynesismo militare. Spesa militare senza Keynes. O “psico-reato” di Keynes.
Ursula von der Leyen e Vladimir Putin fanno patta: entrambi non tengono conto della Riflessività intrinseca ai fenomeni economici, ma è vero anche di Lucrezia Reichlin e Christine Lagarde tra gli altri. Compreso lo stesso Mario Draghi. Avere ignorato la versione della Fallibilità radicale secondo George Soros da parte delle Cancellerie occidentali, significa aver provocato un conflitto globale “a pezzi” – come disse il dipartito Papa Francesco – che ci presenterà il conto nell’ora del “delirio scacchistico” dello zar di Russia, l’aspirante Hitler del XXI secolo, ma chi scrive lo dice con il trucco del mito dell’eziologia. D’altra parte, la realtà esiste e la grande sconfitta dell’Illuminismo consiste nell’averlo ignorato con l’inganno della ragione portata al “punto di equilibrio”. Ma il punto di equilibrio è nella ragione? Si tratta di un argomentare a-scientifico, però. Valga il vero. Verranno qui messe a confronto l’intervista dell’aprile 2025 a Thomas Piketty per “la Repubblica” e quella – che pochi ricordano – del 26 febbraio 2024 per “Affari e Finanza” di Eugenio Occorsio al premio Nobel Robert Shiller (fa effetto rileggerla un anno dopo); a unirle è la superiorità accademica di George Soros come allievo di Karl Popper sul mainstream. La lezione di Soros, che non è Satana, è compatibile con il contributo di Shiller aggiornandolo in itinere; ne è “l’uscita di sicurezza”. Cioè la realtà è sempre più complessa dell’interpretazione che ne diamo e quello che sorprende è che sia Putin che von der Leyen siano accumunati dall’ideologia (sic!); si tratta di un fatto causalmente compatibile con la III guerra mondiale, alla quale l’Occidente va incontro impreparato e decadente, o addirittura morente. Forse la III guerra si sarebbe potuta evitare, se 40 anni fa i “policy makers” avessero accettato i consigli di Soros ma è complicata la “prova controfattuale”: come sarebbe andata la storia del mondo. Del resto, lo stesso Soros ha fatto una battuta di genio: “Se il Colosseo fosse in Antartide, sarebbe pieno di pinguini”. Immaginiamo che Mikhail Gorbaciov avesse approvato il piano Shatalin per la privatizzazione delle terre e che William Waldegrave avesse accettato di fare il Piano Marshall 2.0, senza abbandonare la Russia al suo destino: Putin sarebbe andato al potere lo stesso?
“Oscar Wilde diceva che quando si dice la verità, si è sicuri prima o poi di essere scoperti… ”, ha scritto Andrea Silenzi ne “Talento e bugie”.
Una parola è chiave nell’intervista di Occorsio al simpatico e cosmopolita Shiller: realtà, questo grande sconosciuto. Ecco la trascrizione riassuntiva dell’intervista a Shiller:
“Putin continua a propagandare i grandi risultati della sua economia, e quello che mi sorprende è che in occidente tanti si lascino incantare da questa narrazione senza possibilità di verifica”. Robert Shiller, classe 1946, economista di Yale nonché membro del National Bureau of Economic Research, è la persona giusta per commentare gli inquietanti scostamenti nelle valutazioni sul reale stato della Russia: con i suoi studi sugli effetti per i mercati delle “narrazioni”, e di come queste spesso allontanino dalla realtà, ha vinto il premio Nobel nel 2013. Il suo libro “Narrative economics: how stories go viral and drive major economic events” è un best seller mondiale arrivato all’ottava edizione (in Italia l’ha pubblicato Feltrinelli).
“Professore, ci si chiede quale sia il reale impatto delle sanzioni, giunte al 13esimo round senza che se ne abbia un preciso riscontro. Che impressione si è fatto?”
“Credo che le sanzioni siano state efficaci, almeno in una certa misura. Purtroppo è complicata non solo la prova controfattuale, cioè come sarebbe andata l’economia russa senza sanzioni, ma perfino quella concreta e reale perché le notizie che filtrano sono contraddittorie, frammentate e come dicevo viziate il più delle volte dalla propaganda. Solo su alcune è possibile una (parziale) verifica: sembra accertato, per esempio, che l’inflazione sia in crescita (ultimo dato: 7,4% in gennaio contro il 4,3 dell’estate scorsa, ndr), in controtendenza con quello che accade nel mondo intero. Non a caso i tassi d’interesse sono mantenuti alti sia pure in modo abnorme dalla banca centrale”.
“In effetti è stato appena confermato il 16%. Perché questa “esagerazione”?
“Qui torniamo alla narrazione: perché le aspettative d’inflazione sono molto alte. Goldman Sachs le ha quantificate nel 12%. E credo che non sia andata lontano dal vero. In parte stavolta c’è coerenza con la realtà, almeno per la componente salariale dell’inflazione”.
“Ovvero?”
“La Russia è ormai un’economia di guerra. Gli stanziamenti pubblici sono concentrati nell’industria bellica, che vive un suo macabro ma prepotente sviluppo, con i tanti comparti collegati, dall’elettronica ai macchinari, compresi armi e veicoli armati e no. I massicci investimenti in questi settori comportano assunzioni a pioggia, e pur di accaparrarsi i migliori lavoratori specializzati le aziende (sovvenzionate ad hoc) non badano a spese. I soldati, poi, specialmente gli ufficiali più coraggiosi, vengono molto ben pagati, anche 2000 dollari al mese contro una media dei salari di 600, e lautamente indennizzati se rimangono feriti (le famiglie se vengono uccisi). E’ una macabra utilità, che però incide pesantemente nel bilancio della Federazione”.
“Ma come fa la Russia a finanziare tutto questo?”
“In parte sottraendo i fondi all’economia di pace nonché alle spese per welfare e assistenza sanitaria, in parte con i proventi delle esportazioni soprattutto come sapete del settore energetico”…
“E se torna Trump, amico di Putin? A noi europei ha augurato di essere invasi da Mosca per scuotere brutalmente l’Europa perché aumenti le spese militari.”
“Guardi, Trump è a sua volta un enigma. Notiamo che non ha parlato dopo l’uccisione di Navalny. Un dettaglio, che però spiega il personaggio: in tutte le sue apparizioni pubbliche mostra un’espressione a dir poco corrucciata. Aggressiva, in perenne difesa contro chissà quale nemico, sia che parli di “America First” che di alleanze atlantiche. Non c’è una sola foto in cui è sorridente. Proprio come Mussolini. Speriamo che come fece Mussolini non trascini l’America verso chissà quale impresa militare. La volontà sembra che sia quella di ridurre l’impegno nel mondo. Però rimane l’incognita del suo rapporto con Putin, intorno alla quale si gioca tutta la partita elettorale”.
“Qual è la sua sensazione sulla popolarità di Trump?”
“Trump mi fa paura. Mi affido ai sondaggi, come tutti. E come tutti ne riscontro gli altalenanti risultati. Le racconto un caso che mi ha sorpreso e sconcertato: io vivo nel Massachusetts, considerato lo stato più liberal e più colto dell’intera Unione. L’altro giorno è stato pubblicato un sondaggio locale: metà della popolazione appoggia Trump”.
Neanche 9 mesi più tardi, avrebbe vinto Trump, l’uomo senza inconscio in linea con “l’inconscio collettivo”. Comincia la III guerra, con Putin intenzionato ad attaccare le Repubbliche baltiche e a spingersi oltre. “Rearm Europe” di Ursula von der Leyen è paradossalmente il copia e incolla di Rearm Putin: tagli a welfare e sanità, strapagati solo i soldati. Vuol dire mandare al macello lo Stato sociale europeo come è stato osservato dagli economisti eterodossi (vedi Pasquale Tridico) e dai giornalisti; persino Mario Draghi è in disaccordo con la “reductio ad unum” del keynesismo militare dei dirigenti europei, ma dal lato di un’angolazione “post-keynesiana” anziché keynesiana. E non ha ragione nel settorializzare la spesa in disavanzo. Mentre la gente incomincia a morire di fame. Ancora una volta: la rinuncia al concetto di equilibrio deve informare l’orizzonte futuro di una disciplina, di un sapere – l’economia – che è inferiore per importanza alla realtà e che non è scientifica, ma è relegata ancora oggi alla “camicia di forza” dell’ideologia travestita da scienza; riprogettando la realtà, accadono i disastri e i conflitti mondiali. Non è tutto ideologia, a differenza di quello che disse Marcuse. L’ideologia è la massima espressione della “società chiusa” nella sintesi
criminogena tra fascismo, nazismo e comunismo ed è una tragedia che si ripeterà; addirittura
ideologia e crimine si legittimano, sorreggendosi a vicenda. Ma occorre una grande umiltà, che John Maynard Keynes non aveva nella sua grandezza, o grandeur con arroganza: “E’ meglio avere all’incirca ragione, che precisamente torto”. Lo ha pagato con la vita. L’economista britannico morirà per consunzione a Bretton Woods nel 1944, dopo che Milton Friedman dimostrò che non aveva “ragione”. “Stati misti” e punto d’equilibrio s’incontrano.
Ecco la trascrizione di una parte dell’intervista di Paolo Mastrolilli a Thomas Piketty: von der Leyen e Putin sparano un colpo di bazooka alla Open Society, ma non siamo padroni a casa nostra e non siamo ancora passati dalla Ragione alla Fallibilità Radicale (sarebbe dovuto accadere a cavallo della caduta del Muro di Berlino e della dissoluzione dell’Urss):
“Vede una logica neocolonialista (in Trump, ndr)?
“… C’è anche una spinta ideologica. Il trumpismo è prima di tutto una reazione al fallimento del reaganismo. Reagan aveva promesso che la liberalizzazione globale avrebbe arricchito tutti. Quarant’anni dopo, la classe media americana non ha visto alcun beneficio. Da qui, la fuga in avanti verso il nazionalismo, una postura classica a destra. Ma il discorso protezionista è anche contraddittorio: oggi gli Stati Uniti sono in piena occupazione. Dicono di aver perso posti di lavoro, ma se davvero volessero crearne dieci milioni in più, dovrebbero far arrivare lavoratori messicani e molti più immigrati. Ciò che motiva davvero Trump, J. D. Vance e i miliardari che li sostengono non è tanto la difesa dell’occupazione quanto la perpetuazione di un modello inegualitario e autoritario”.
“Cosa dovrebbe fare l’Ue?”
“Una parte importante del deficit commerciale Usa corrisponde al surplus cinese, ma anche a quello europeo. E non si tratta solo di Germania: il surplus riguarda tutto il continente. Ora tutti i paesi che hanno investito per poter esportare si ritrovano penalizzati. L’Europa deve quindi uscire dalla sua postura malthusiana, ovvero restrittiva. Deve investire di più sul continente, invece di accumulare surplus commerciali che sono il segno di un sotto-investimento cronico. Ci sono poi decisioni assurde, come comprare armi per compiacere Trump, come se fosse nel nostro interesse”.
“Quindi è d’accordo con il rapporto di Mario Draghi che raccomanda per l’Ue una terapia d’urto di nuovi investimenti?”
“Sì, il rapporto di Mario Draghi va in quella direzione e purtroppo è stato quasi ignorato dai dirigenti europei. Condivido la sua diagnosi, quando afferma che l’Europa è destinata a un’agonia lenta se non agisce. Ci sono però alcune differenze, che non sono solo sfumature. Nel suo rapporto ha una visione tecnocratica, incentrata sul settore privato, mentre io penso che abbiamo bisogno soprattutto di investimenti pubblici, nell’istruzione, nella ricerca, nella sanità, e che dobbiamo inventare nuove forme di governance nel settore digitale per controllare i grandi gruppi privati”.
L’assunto del report di Super Mario è superare Keynes, restringendo il campo d’intervento del debito pubblico; ma la distinzione tra debito buono e debito cattivo è arbitraria, mentre l’errore di Keynes consisteva nel rendere valida la ricetta del DEFICIT SPENDING nel lungo termine. “Nel lungo periodo saremo tutti morti”, o morire di battutismo?
Subordinando il debito pubblico al mercato come se fosse un’entità smithiana, si lascia morire di fame la gente. Perché la ricapitalizzazione del “settore corporate” non redistribuirà la ricchezza alla collettività: si tratta di un assunto sostenuto dall’ideologia; “l’errore intenzionale nell’argomentazione” si nasconde tra le pieghe dei paralogismi? Non è agevole rispondere a questi quesiti. Limitandosi alla superficie, occorre registrare che le opposizioni chiesero a Draghi di introdurre il salario minimo, proprio perché la sua previsione del 14 dicembre 2020 a Bruxelles non si era realizzata; era già stato osservato nel 2020 che la ricetta non avrebbe avuto successo, ma Mr Wolf è superiore alle critiche “whatever it takes”. Anche la più grande crisi dal 1929.
Nella rivista “Fq Millennium. Cinquanta sfumature di Draghi” dell’ottobre del 2021 a cura di Peter Gomez, eccellenza del giornalismo, Paolo Soraci osserva in termini tecnicamente “riflessivi”:
“… Draghi, nel suo decennio da direttore generale del Tesoro migliora e modernizza gli apparati del suo ministero, che tra l’altro gestisce il costosissimo maxi debito dello Stato. Ma al tempo stesso esternalizza le privatizzazioni alle banche d’affari e alle società di consulenza multinazionali, spesso in potenziale conflitto d’interessi con altri loro business e clienti privati … SCOMMESSE PERSE. Secondo alcuni veterani del Tesoro, l’errore di Draghi è di “far entrare famelici squali della finanza dove alti burocrati sguazzavano come pigri pinguini e placide foche”. Un esempio di come li sbranano sono le ingenti perdite con riservatissimi e criptici contratti di “derivati finanziari”, piazzate dalle banche straniere. Dovevano assicurare un grande debitore come l’Italia dalle eccessive variazioni dei tassi d’interesse e dei cambi valutari… “.
Ma il liberismo non è universalmente valido, e tra l’altro la “shadow finance”, o finanza ombra, è d’istigazione a delinquere nel senso penale del termine. Il Diavolo fa sesso con il “punto d’equilibrio”. Infatti, Draghi nel 1998 abrogherà la legge vigente dagli anni Trenta sulla separazione tra banche commerciali e banche d’investimento, copiando Clinton che – finanziato copiosamente dalla Goldman Sachs – aveva cancellato il Glass Steagall Act varato da Roosevelt, preparando l’avvento della crisi 2007-2008. Scrive Soraci:
“… Finanza riformata. Sempre da direttore generale del Tesoro, Draghi guida la commissione per la riforma degli intermediari finanziari, che produce il testo varato nel 1998 come “legge Draghi”. Le norme modernizzano, impongono maggiore trasparenza e sono apprezzate anche dagli operatori del settore. L’economista Francesco Giavazzi, amico e oggi anche stretto collaboratore del presidente del Consiglio a Palazzo Chigi (in polemica con Tito Boeri sui fondi del Pnrr, ndr), le celebra come “l’innovazione più importante nella Borsa italiana dopo la legge che istituì la Consob (la commissione di controllo sulla Borsa, ndr) nel 1974”. Una decina di anni dopo, la grande crisi finanziaria dimostrerà però in Italia e in tutto il mondo la necessità di controlli molto più severi. Per stare al nostro Paese si può dire che la legge Draghi rappresenta sì una svolta rispetto al passato, ma sottovaluta, per esempio, i rischi di relazioni pericolose di intermediari finanziari con politici (e potenti vari), che in Italia avevano (e hanno) ampi spazi per occultare vere e proprie tangenti dietro operazioni di Borsa o prestiti a tassi preferenziali …”.
Draghi non teneva conto della riflessività intrinseca all’economia, illudendosi di avere ragione in senso “kantiano”, ma non è portato al ragionamento. L’assalto di Mps ad Antonveneta, cela tra l’altro una colossale tangente nell’inside per matrioske dei derivati Alexandria e Santorini. E la morte di David Rossi, che quella tangente stava per rivelare: la più grande dall’affaire Enimont.
Se avesse parlato, un uomo molto potente sarebbe finito in carcere. Un uomo più in alto di Giuseppe Mussari, condannato a 7 anni e 6 mesi e poi assolto. Di questi fatti, si parla a pag. 147 del libro “Morte dei Paschi di Siena. Dal suicidio di David Rossi ai risparmiatori truffati”, a cura di Elio Lannutti e Franco Fracassi.
Del resto, è stato il mio maestro George Soros a stabilire un collegamento diretto tra l’Illuminismo e la corruzione. Una spiegazione decisamente controcorrente; non resta che citare Soros, “post-illuministicamente”, alla fine di un’epoca: l’Età dei Lumi: “… Sono pochi i teorici dell’economia che riconoscono l’esistenza della riflessività: essi cercano di stabilire le condizioni di equilibrio, mentre la riflessività è fonte di squilibrio. John Maynard Keynes era acutamente consapevole dell’esistenza di fenomeni riflessivi: paragonava infatti i mercati finanziari a un gioco in cui ciascuno deve indovinare in che modo gli altri indovinano in che modo gli altri indovinano; ma anch’egli, per renderla accettabile a livello accademico, ha presentato la propria teoria in termini di equilibrio… Negli anni Trenta, Keynes ha screditato il monetarismo, ma dopo la sua morte egli è caduto in disgrazia, perché la sua ricetta per curare la deflazione aveva fatto emergere tendenze inflazionistiche. Se Keynes fosse vissuto ancora, probabilmente l’avrebbe modificata… Ciò ha condotto alla reinvenzione della teoria monetarista da parte di Milton Friedman. Ma la tesi di
Friedman ha il difetto di trascurare l’elemento riflessivo insito nell’espansione e nella contrazione del credito …”.
Era il 1999, oggi c’è la III guerra.
Ma le fondazioni per la Società Aperta prenderanno il potere in Russia e in America nell’ora più buia, abbattendo Putin e Trump. “La Storia ha sempre una carta di riserva”, parola di Federico Caffè.
di Alexander Bush