Colloquio su liberismo e liberalismo: intervista a Marcello Pera

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Libertates intervista l’ex presidente del Senato Marcello Pera

1- Come giudica lo stato di salute del liberalismo italiano? Ora assistiamo a politiche di governo molto simili seppur di diversa matrice politica. Si può parlare ancora di politiche e ideali liberali in tema di diritti civili, politica, economia o i partiti sono ora solo macchine esecutive di uno burocrazia conservatrice?

Se si parla di liberalismo etico-filosofico, allora lo stato di salute del nostro liberalismo è eccellente, come quello di un bambino che deve ancora essere concepito: sta bene, perché non c’è. O almeno io non conosco oggi (neppure fuori d’Italia) alcun autore liberale con importanti contributi teorici sulla dottrina della libertà. Se si parla di liberalismo politico-istituzionale, allora quello che in Italia abbiamo è tutto scritto nella nostra Costituzione, che intende combinare i diritti di libertà con quelli sociali. Siccome però la Costituzione comincia col dire che l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro, e non sulla libertà, e prosegue con l’impegno a rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla partecipazione dei lavoratori, più che una combinazione abbiamo una subordinazione dei diritti sociali a quelli di libertà. E perciò anche i liberalismo politico-istituzionale non mi sembra che stia in buona salute. Infine, se si parla di liberalismo economico, allora possiamo dire che abbiamo avuto e in gran parte continuiamo ad avere statalismo, dirigismo, assistenzialismo, keynesismo, ma non liberalismo. Per evitare di apparire troppo critico con la situazione italiana, aggiungo che essa non è troppo diversa da quella di altri paesi occidentali (America compresa). Il fatto è che nessuno sa più bene che cosa sia il liberalismo: è diventato una tradizione filosofica e politica bastarda. Il caso più emblematico lo danno proprio quelli che Lei chiama i “diritti civili”: sul punto, i liberali sono così confusi che ritengono sia sana dottrina liberale che ciascuno sia arbitro di sé, senza vincolo etico e religioso alcuno: così per loro l’aborto è un diritto alla stessa stregua, e motivato alla stessa maniera, poniamo, del diritto di impartire ai figli l’educazione che si crede o di fare il lavoro che si desidera. Quando parlano di diritti, coloro che si professano liberali, non sanno distinguersi da nessun altro, salvo che dai cattolici. E ciò perché hanno preso i classici diritti di libertà, li hanno scritti su una stringa elastica, e continuano a tirare i lembi. 2 – Pensa che sia possibile in Italia la nascita di una vera formazione liberale, unione di spiriti politici trasversali? Sarebbe certamente auspicabile, ma non ne vedo le condizioni, anche perché l’Italia ha perso sovranità a favore di ciò che si chiama Unione Europea, e l’Unione Europea è precisamente fondata sul lavoro e sui diritti sociali alla maniera indicata dalla nostra Costituzione. Nel migliore dei casi, è socialismo democratico più la burocrazia dirigista connessa per tenerlo in piedi. Un partito appena liberale deve smantellare questa cornice (non a caso i partiti liberali europei, salvo quelli, cioè pressoché tutti, che non sono ai piedi della Germania, sono anche euroscettici). Perciò, ciò che si potrebbe cercare di mettere in Italia è la nascita di un partito non “più liberale”, ma “meno socialista”. Io ci spero ancora ma non farò in tempo a vederlo. Ci aveva provato Berlusconi, oggi ci prova Renzi, speriamo non con lo stesso esito.

3 – Pensa che con papa Francesco sia nata una chiesa cattolica più liberale, con una nuova identità moderna?

Mi sembra presto, anche se dovrebbe già essere l’ora, per capire il pensiero di Papa Francesco. E mi sembra un errore classificarlo (lui, come i suoi predecessori) con categorie filosofico-politiche diverse da quelle cattoliche. Ma se si vuole usare questo criterio, allora mi pare di capire che il nuovo Papa è più incline ad una dottrina sociale della liberazione che ad una dottrina liberale. Lo vedo impegnato a declinare il cristianesimo più verso i diritti sociali (la giustizia, i poveri, gli emarginati, gli immigrati) che verso i diritti di libertà. Quanto ad una Chiesa con una “identità moderna”, come dice Lei, mi scusi, voglio sperare proprio di no: l’identità della Chiesa è quella di Cristo.

4 – Come si colloca a suo giudizio il liberismo nella Comunità europea? Assistiamo ora ad un’Europa a più velocità in tema di economia. Il progetto europeo secondo lei è fallito o non ancora compiuto?

Le ho già in parte e brevemente risposto. A mio avviso, la sostanza storica, e la genesi, dell’Unione Europea è quella di un Trattato di pace franco-tedesco, le due nazioni che si sono sempre fatta guerra. Finora, il Trattato ha resistito: la Francia correva per stare alla pari della Germania e la Germania faceva credere alla Francia di essere sua pari. Ma non è così: è stato sufficiente che la Germania staccasse nettamente tutti gli altri e il Trattato è entrato in crisi, nonostante la buona volontà, e le paure, dei contraenti. Si aggiunga che, per difendersi meglio, le due principali potenze hanno creato a proprio beneficio un mostro di pesi e contrappesi, di burocrazie, di istituzioni, di clausole, di regole, di cariche, tutte ambigue, opache e inefficienti, che ora non consentono più grande manovra di movimento al vecchio continente. Pensare che questo mostro debba ancora essere compiuto, e insistere per portarlo a compimento, a me sembra la migliore garanzia di fallimento.

5 – In Europa uno Stato come l’Ungheria ha un premier autoritario, Orban parla di voler costruire uno stato illiberale. Secondo lei un’Unione europea con un nucleo politico più snello, con al suo interno solo paesi di più simile storia e tradizione democratica renderebbe più facile un processo di vera unione federale?

Credo poco nell’unione federale europea. Funzionano quando gli Stati che si federano nascono assieme e hanno più o meno uguale peso o uguale speranza di avere lo stesso peso, e tradizioni molto simili. Può darsi che un’Europa a due velocità, con il nucleo che corre e la cintura attorno che arranca, sia meglio dell’attuale situazione. Ma, mi chiedo, non c’è il rischio di altri e più gravi tensioni, precisamente quelle fra zone di influenza, che in Europa hanno sempre portato guerre?

6 – Riprendendo il caso ungherese. Dopo avere già pesantemente messo mano alla costituzione, modificata in senso autoritario, e avere posto limiti alla libertà di informazione, ora il premier ungherese dichiara apertamente di volersi ispirare a stati che “non sono democrazie ma sono di successo”. Dall’Europa nessuna condanna. Teme che l’Europa possa e/o voglia sacrificare in futuro lo spirito liberale in nome della crescita economica e della stabilità politica? Come giudica l’immobilismo dell’UE su questo tema mentre è molto attiva in tema di sanzioni alla Russia sul caso ucraino?

Perché stupirsi se l’Europa non dice niente su nessuna cosa importante? Se si dice, poi si deve fare, e si si fa, poi si deve rischiare. C’è qualcuno che vede l’Europa che rischia in politica estera? In Iraq, in Libia, in Palestina? Che si preoccupa del destino dei cristiani in Medio Oriente e in Africa? Sull’Ucraina, io ho visto un’Europa che si è abbandonata alla retorica della democrazia: hanno pensato di poterla annettere senza neanche informare Putin. Così ha consentito che dentro quella nazione nascesse un conflitto interno fra la popolazione e uno esterno con la Russia, e quando il conflitto è scoppiato, ha abbandonato gli ucraini al proprio destino. La “primavera ucraina” come le “primavere arabe”, Kiev come Tripoli. L’Europa ha lanciato il sasso, ha ammiccato, ha fatto intendere, poi si è fermata. Se si vuole capire quanto è lungimirante l’Europa, si pensi che voleva allargarsi alla Turchia con l’islamismo crescente. Quanto all’Ungheria, se la situazione peggiora, l’Europa farà come sta facendo con l’Ucraina: proclami di buoni sentimenti.

Andrea Andreoni

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