ALDA MERINI, COLPEVOLE COME ROBIN WILLIAMS NE “L’ATTIMO FUGGENTE”: ICARUS GRIDAVA IN CIELO


“Certamente la mamma era una persona fragile, forse non era tanto portata per la vita
familiare. Non capiva la vita banale di tutti i giorni. Voleva riuscire a fare la madre, ma
era troppo divorata dai suoi fantasmi interiori. Quella famosa domenica ha sconvolto
tutta la nostra vita. Non sarebbe dovuta andare così…”
Emanuela, “Alda Merini, mia madre”

“Impara le regole come un professionista affinchè tu possa infrangerle come un artista”
Pablo Picasso

Ai tempi del Coronavirus duro a morire e del secondo lockdown, porto all’attenzione dei lettori
di Libertates due argomenti che potrebbero catturare la loro attenzione: 1) la monografia realizzata dai due coltissimi psichiatri della Clinica Psichiatrica di Pisa Liliana Dell’Osso e Primo Lorenzi
“Genio e follia 2.0. Le complesse relazioni tra spettro autistico e competenze eccezionali” edita da Franco Angeli editore, e la ripresa del filone giornalistico-letterario celebrativo della poetessa Alda Merini, come presunta vittima di una cospirazione della psichiatria sullo sfondo delle pellicole “La fossa dei serpenti” e “Qualcuno volò sul nido del cuculo” con Jack Nicholson. Orbene, esiste una leggenda metropolitana dura a morire per la quale l’Intelligenza Divergente è un’arma a doppio taglio che può portare la cosiddetta “società civile” ad isolare i Divergenti, magari perseguitandoli e mandandoli nei manicomi; la poetessa che tutti conoscono e apprezzano Alda Merini sarebbe finita tra le macerie degli ospedali psichiatrici, perché incompresa dagli Altri – ivi compresi i suoi stessi genitori –, che non avrebbero saputo valorizzare adeguatamente la sua genialità: anche l’interessante dossier “Quasi tutto su mia madre Alda Merini” a cura di Alberto Riva su Il Venerdì de la Repubblica, contribuisce a fortificare questa leggenda totalmente sganciata dal “principio di realtà”, tanto caro a Nanni Moretti…
Insomma, la Merini sarebbe stata rovinata dagli psichiatri che l’hanno avuta in cura con l’istituzionalizzazione in manicomio e la somministrazione coatta dell’elettroshock poiché era troppo in avanti rispetto ai suoi tempi… E avrebbe avuto successo solo in un secondo tempo…
L’eterno complotto dei “very ordinary people” contro i geni creatori dell’universo – sappiatelo – è una gigantesca invenzione, ma purtroppo anche la professoressa della Clinica dell’Università La Normale di Pisa Liliana Dell’Osso contribuisce ad avallare una tale leggenda in apertura del suo volume “Genio e follia 2.0”, scrivendo quanto segue: “… Riportiamo di seguito l’episodio della morte di Archimede, come narrato da Plutarco: “Accadde infatti che egli (Archimede, n.d.a.) stesse esaminando qualcosa tra sé su un disegno e, avendo dedicato alla ricerca della soluzione contemporaneamente sia la concentrazione che lo sguardo, non si accorse in tempo dell’accorrere dei Romani, né della presa della città. Quando improvvisamente gli si presentò un soldato e gli ordinò di seguirlo da Marcello, non voleva farlo prima di concludere il problema e di condurlo alla
dimostrazione; e quello, adiratosi e avendo estratto la spada, lo uccise. Altri però dicono che il Romano gli si presentò subito brandendo la spada con l’intenzione di ucciderlo, ma lui, avendolo visto, chiese e supplicò di attendere per breve tempo, in modo che non lasciasse incompiuto e non risolto l’oggetto della ricerca, ma quello, non curandosene, lo uccise. E c’è anche un terzo racconto, secondo cui dei soldati, imbattutisi in lui che portava da Marcello degli strumenti scientifici, meridiane e sfere e compassi, con cui la grandezza del sole si adatta alla vista, e ritenendo che portasse dell’oro nel contenitore, lo uccisero. Tuttavia si ammette concordemente che Marcello ne soffrì e disdegnò l’assassino di quell’uomo come sacrilego e onorò i familiari dopo averli fatti cercare (Plutarco, Vite parallele: Pelopida e Marcello)”.

Mah, sarà andata veramente così? Nella pellicola immortale “L’attimo fuggente”, infatti, come osservato dal direttore di Villa del Principe a Genova Marco Massa, “il colpevole è Robin Williams”.
L’insegnante “sessantottino” che, con il buonismo della ribellione antisistema, induce un ragazzino eccessivamente indipendente e “la setta dei poeti estinti” a disobbedire alle regole del collegio dove studiavano: tra l’altro la conseguenza di tale scriteriata ribellione alle rigidità calviniste del college è il suicidio del giovane velleitariamente a capo della setta dei poeti, e nella vita reale Robin Williams si uccise (sic!); ne consegue che chi scrive respinge l’apologia dell’“eteros nomos” – l’eteronomia del soggetto – da parte della professoressa Liliana Dell’Osso: “… La ruminazione comporta inesorabilmente autoreferenzialità, ridondanza, distacco dall’interfaccia col mondo, spinta verso letture (molteplici e potenzialmente anche bizzarre) del reale. Facilita il pensiero divergente, talvolta con approdi creativi, ma rende molto più probabili le derive psicopatologiche e, inesorabilmente, anche psicopatiche e antisociali…”.

Sarebbe stato insomma questo il caso della “povera” Alda Merini, non in linea con i venti dello Zeitsteil: “lo Spirito dei Tempi”.
Chi scrive contesta radicalmente tale impostazione. La Merini, assurta a figura iconica del suo tempo nella cosiddetta Milano da bere nella seconda fase della sua vita rispetto alla primigenia discesa negli inferi dell’Ospedale Psichiatrico (ma priva di un background intellettuale in senso classico), era vittima in realtà di un grave disturbo narcisistico di personalità, che emerge dall’interessantissima scheda di approfondimento che la riguarda su Wikipedia. Rispetto alla quale occorre fare alcune decisive precisazioni, poiché “il diavolo si annida nei dettagli”.
La Merini credeva di essere nata imparata, proprio come l’attore caduto nella polvere di “Mamma ho perso l’aereo”… Vediamo subito la scheda di Wikipedia, puntuale come sempre:
“… Alda Giuseppina Angela Merini nasce il 21 marzo 1931 a Milano in viale Papiniano, 57, all’angolo con via Fabio Mangone. Il padre, Nemo Merini, originario di Brunate, primogenito degli otto figli di un conte comasco diseredato per aver sposato una contadina, è impiegato di concetto presso le assicurazioni “Vecchi a Mutua Grandine ed Eguaglianza”, precisamente nella società affiliata denominata “Il Duomo; la madre, Emilia Painelli, è casalinga… Alda vive tra un padre colto, affettuoso, dolce ed attento che a cinque anni le regala un vocabolario e che le spiega le parole tenendola sulle ginocchia, e una madre severa, pragmatica, distante ed altera, che tenta invano di proibirle di leggere i libri della biblioteca paterna in quanto vede per lei un futuro esclusivamente di moglie e madre. Emilia Painelli inoltre, quando la figlia, studentessa elementare, ha una crisi mistica, porta il cilicio, partecipa continuamente alle messe presso la vicina basilica di San Vincenzo in Prato e vuole farsi monaca, inizialmente scambia il suo malessere interiore per esteriore, e la riempie di vitamine. Poi, per farle passare l’impeto vocazionale, contatta la maestra per stabilire uno speciale ritiro scolastico. La figlia si vendica facendo dispetto all’alta considerazione dello status di famiglia che ha la madre: va a mendicare vestita di stracci, come se fosse di famiglia povera, per giunta dicendo di essere orfana. La madre la punisce con percosse. Dopo aver terminato il ciclo elementare con voti molto alti, è però il padre che le impone di frequentare i tre anni di avviamento al lavoro presso l’Istituto Professionale Femminile Mantegazza, in via Ariberto”.

Fermiamoci un momento.
In questa storia ci sono gli “adattamenti menzogneri” alla Coco Chanel: cioè una “folla di frottole” – non è del tutto certo che Indro Montanelli avesse sposato una ragazzina etiope di 12 anni, figuriamoci se la madre di Alda la perseguitava alle elementari!
I passaggi successivi di Wikipedia sono la Rivelazione, a modesto avviso di chi scrive:
“Nel 1943, dopo un coprifuoco trascorso nel rifugio antiaereo, la famiglia trova la casa distrutta da un bombardamento. Mentre il padre resta a Milano con la figlia maggiore, lei, la madre e il piccolo Ezio trovano un carro bestiame che va a Vercelli, dove vive una zia che li sistema in un cascinale, per ben tre anni; ricongiunta la famiglia e tornati a Milano a piedi, prendono il primo monolocale trovato vuoto, precedentemente abitato da uno straccivendolo, e lo abitano”.

E qui, il diavolo si nasconde tra i dettagli:

“Alda tenta in seguito di essere ammessa al Regio Liceo – Ginnasio Alessandro Manzoni, ma non riesce in quanto non supera la prova di italiano. Nello stesso periodo si dedica allo studio del pianoforte, strumento da lei particolarmente amato. Attraverso una sua insegnante delle medie fu presentata ad Angelo Romanò che, apprezzandone le doti letterarie, la mise in contatto con Giacinto Spagnoletti, il quale divenne la sua guida, valorizzandone il talento.
Quindicenne, torna a casa con una recensione di una sua poesia scritta da Spagnoletti; emozionatissima la mostra all’amato padre, che però la prende e straccia in mille pezzi dicendo alla figlia “Ascoltami, cara, la poesia non dà il pane”…”

Qui sono opportune delle fondamentali correzioni di margine: è inverosimile che il padre di Alda, così sensibile alla coltivazione delle passioni intellettuali della figlia con un background di neuroatipia, le abbia improvvisamente respinte con tale inedita mancanza di rispetto!
Mentre, di contro, appare assai più credibile ex post che Alda fosse stata pesantemente attaccata poiché – al netto dei suoi indubbi talenti da neuroatipica alle prese con la pubertà – non aveva voluto studiare correttamente, per passare l’esame di idoneità al Liceo Ginnasio Alessandro Manzoni: essendo erroneamente convinta di essere già arrivata all’Olimpo degli Dei perché toccata dal fuoco!
Ma proprio lei, Alda, che sapeva scrivere con innegabile creatività e intelligenza, commise l’errore del matematico indiano Srinivasa Yengar Ramanujan al quale è dedicata la meravigliosa pellicola “L’uomo che vide l’infinito” con Jeremy Irons: il “monoideismo orientato” degli interessi di chi è convinto di poter saltare il porto per toccare l’orizzonte! “Non ti posso pubblicare subito i tuoi scritti
sulle equazioni, prima devi partecipare alle lezioni con gli altri studenti”, diceva il saggio insegnante Godfrey Harold Hardy all’ambiziosissimo e impaziente Srinivasa, che però fino all’ultimo – in ciò spinto dall’irresponsabile Bertrand Russell – non diede retta a Lord Hardy, e poi tentò il suicidio.
Fu la “presunzione fatale” e rovinosa commessa dall’enfant prodige della poesia italiana Alda Merini, un disturbo narcisistico legato all’idealizzazione distorsiva della propria immagine: ne deriverà lo sviluppo degenerativo di “psicosi maniaco-depressive” dovute – in una personalità neuroatipica con quoziente superiore alla media – alla mancata introiezione di modelli cognitivi complessi, durante l’estrema plasticità mentale dell’Età dell’Apprendimento.
Non a caso, Wikipedia rileva sul punto: “Nel 1947, la Merini incontra “le prime ombre della sua mente” e viene internata per un mese nella clinica Villa Turro a Milano, dove le viene diagnosticato un disturbo bipolare (alla voce psicosi maniaco-depressive ieri come oggi, ndr).
Quando ne esce alcuni amici le sono vicini e Giorgio Manganelli, conosciuto a casa di Spagnoletti insieme a Luciano Erba e David Maria Turoldo, la indirizza dagli psicoanalisti Fornari e Musatti…”.

E qui, per la Merini, comincia il secondo calvario, quello più lungo: l’indagine psicoanalitica dell’inconscio, da parte del frustratissimo e cattivo Cesare Musatti (si segnala ai lettori “Montanelli contro Musatti: il diritto d’impazzire” alla voce Archivio psicoanalitico italiano).
L’indagine sull’inconscio è un attentato alla Mano Invisibile.
Alda comincia a peggiorare progressivamente, e, dopo un violento alterco con il marito (un panettiere incapace di comprendere le cose belle della vita), viene rinchiusa a metà degli anni sessanta in manicomio.
Sarebbe interessante sapere l’opinione della figlia Emanuela rispetto alla – mai chiarita – questione del rapporto tra la poetessa e il padre della psicoanalisi italiana Cesare Musatti.
Sigmund Freud, la massima espressione del tramonto dell’Occidente, ha teorizzato insieme al collega “antagonista” Carl Gustav Jung l’esistenza di una formula quaternitaria in antitesi alla Rivelazione della trinità: Satana come il primo figlio di Dio; sia Freud che Jung erano concordi nel ritenere che: “Il diavolo non ha un giusto posto nel cosmo trinitario”.
Si segnala ai lettori “Un’intervista impossibile a Sigmund Freud” da parte degli accademici Primo Lorenzi e Liliana Dell’Osso: “… LDO: “… Giova… ribadire il suo pensiero, vale a dire che non sia la terapia l’obiettivo della psicoanalisi. Non è tanto scontato, sa?…”.
Infatti l’obiettivo del professor Musatti con la paziente Merini non era la sua terapia: e lei, poco tempo dopo, finì in manicomio.
Ma nessuno nasce imparato: e bisogna avere l’umiltà di apprendere le regole come dei professionisti affinchè le si possano infrangere come degli artisti.
Alda, però, per fortuna non è finita male come Frances Farmer, “la figlia della furia”.
E poi, risorta dalle sue stesse ceneri, ha conosciuto finalmente la felicità del successo.
Ma non sempre, queste storie di inferno terreno hanno un lieto fine.
“La maggior parte di noi vive nelle fogne, ma c’è chi lo fa guardando le stelle”: Oscar Wilde docet.
Che Alda possa avere il meritato riposo, tra gli angeli lassù.
Sullo sfondo della colonna sonora di Nuovo Cinema Paradiso.

di Alexander Bush

Sull'Autore

Alexander Bush, classe '88, nutre da sempre una passione per la politica e l’economia legata al giornalismo d’inchiesta. Ha realizzato diversi documentari presentati a Palazzo Cubani, tra questi “Monte Draghi di Siena” e “L’utilizzatore finale del Ponte dei Frati Neri”, riscuotendo grande interesse di pubblico. Si definisce un liberale arrabbiato e appassionato in economia prima ancora che in politica. Bush ha pubblicato un atto d’accusa contro la Procura di Palermo che ha fatto processare Marcello Dell’Utri e sul quale è tuttora aperta la possibilità del processo di revisione: “Romanzo criminale contro Marcello Dell’Utri. Più perseguitato di Enzo Tortora”.

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