PAZIENZA SE E’ IL TRAMONTO DELL’OCCIDENTE

Data:

“Francesco Pazienza è un’intelligenza sprecata”
Giorgio Galli, 2005 Recco Via delle Palme

“… Pazienza aveva la fiducia dei servizi segreti tanto in Italia quanto
negli Stati Uniti; in nessun paese del mondo i servizi segreti vanno
per il sottile in materia di moralità, ma è possibile che non si
accorgessero di avere a che fare con una persona molto modesta dal
punto di vista della capacità e dell’efficienza? Calvi sperava in lui,
credeva che fosse un uomo potente… “
Piero Ottone, “Il gioco dei potenti”

To be or not to be: that is the question. Amleto, atto III.
La vera domanda è se l’ex braccio destro di Giuseppe Santovito che, come mi ha confermato Alberto Dell’Utri in una colazione dei Parioli “Pizzeria Rossini” il 28 agosto del 2021, procurò del cianuro a Michele Sindona su mandato del direttore del Sismi che riferiva a Giulio Andreotti, sublimò la “scomposizione dell’Io” nel Golfo dei Poeti ligure o la soffriva senza sublimarla.
Si trovò nella cella dove si era suicidato Jeffrey Epstein, al quale Donald Trump (nomen omen) fece scacco matto attraverso il trait d’union Schoen, l’Avvocato del Padrino. Revolving door’s.
E’ dipartito Francesco Pazienza a 79 anni, in un ospedale di Sarzana nei pressi di Lerici, agente dei servizi in servizio permanente effettivo. Con il “fiato corto” rivestito di sense of homour artificioso e la pipa della sbruffoneria. Sembrava colto, senza esserlo. Era quasi elegante.
Quando Enzo Biagi, gigante del giornalismo più per il trucco dell’icona che per la persona, intervistò Clara Canetta Calvi chiedendole: “Ma Pazienza è intelligente?”, la vedova del banchiere dagli occhi di ghiaccio rimase scettica. Homme d’affaires senza pietas o senza dignitas, fece avere a Eugenio Scalfari 4 milioni di dollari che provenivano dal dark side del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi per evitare la decozione fallimentare de “la Repubblica”, e costui lo ripagò con la “sindrome del beneficiato”; Carlo De Benedetti è stato processato per concorso in bancarotta fraudolenta dell’Ambrosiano, condannato in primo grado a 6 anni e 7 mesi, in Appello a 4 anni e 6 mesi e beneficiato da un vizio di procedura in Cassazione. Scalfari è l’altra faccia di Mino Pecorelli. Uno è diventato icona, l’altro è morto crivellato dai proiettili della Magliana, forse da Massimo Carminati. Lo Zeitgeist opera una strana selezione tra vincitori e perdenti, o chiamatela Dea Fortuna. Le cento facce di Pecorelli, come disse bene Corrado Augias a “Telefono giallo”; le cento facce di Scalfari come disse del secondo Filippo Ceccarelli. Uno si è trasformato nell’“icon-man” dello star system, l’altro stava trasformandosi nello Scalfari che non è stato. Nel Belpaese degli smemorati, vale la pena citare lo stesso Pazienza in apertura della presentazione del volume “La versione di Pazienza” a Vasanello, quasi scrittore, con la mediazione di “Dark side” (una copertura dei servizi):
“… Il Banco Ambrosiano non è mai fallito (la stessa versione di Carlo De Benedetti a “La 7” dalla Lilli Gruber e data a Federico Rampini nel libro “Per adesso”, ndr)… Allora, io sono stato vicecampione di corsa Campestre; faccendiere io direi, un decatleta: cioè, vuol dire uno che sa fare tante cose come un decatleta; gli americani usano una parola molto specifica che si chiama business man; i francesi usano homme d’affaires; gli italiani invece hanno sempre un pizzico tra l’invidia e l’accidia, per cui il grande Scalfari s’inventò la parola faccendiere. Però Scalfari si dimenticò anche quando il faccendiere doveva dare quattro milioni di dollari per salvargli “la Repubblica” che era in situazioni pre-mortali; si salvò dopo l’entrata di De Benedetti, che gli dette i soldi che venivano dal Banco Ambrosiano. Quindi, cambiando l’onere dei fattori, il prodotto non cambia… “. 81 miliardi di liquidazione ceduti da Calvi all’Ingegnere di Ivrea.
Così Scalfari divenne ricco, capitalizzando 70 miliardi circa di patrimonio netto (questi passaggi sono stati pubblicati in un articolo su Carlo De Benedetti presso Libertates nell’agosto del 2023, ndr). Un’altra circostanza è meno nota: Flavio Carboni presentò a Carlo Caracciolo la femme fatal Sabrina Minardi, in un incontro videofilmato dagli uomini di Enrico De Pedis. Poi ricattò Caracciolo
per farsi dare dei soldi, e la loro amicizia è stata trentennale.
Tra aristocratici e criminali si forma un’intesa fortissima.

Dal 2007, è tornato a operare nella shadow finance facendo suo l’aforisma di Lucky Luciano: “Non esistono soldi sporchi o soldi puliti, esistono i soldi”; del resto, Corrado Carnevale e Antonio Ingroia la pensano allo stesso modo: esiste il tentativo di riciclaggio, non il reinvestimento…
Uno dei guardiani del potere sporco, lo definisce la scrittrice raffinata Stefania Limiti che ricorda un po’ la giornalista della fiction “1992”, “1993”, “1994” di Giuseppe Gagliardi che interloquiva con Leonardo Notte, pseudonimo di Urbano Cairo. La femmina sente lo spessore del Potere nel proprio “ob-scaena”, per parafrasare il colto Corrado Augias che corresse l’incolto Roberto Scarpinato. Alle femmes fatales piacciono i delinquenti, non certo i bravi ragazzi… Potremmo aggiungere: Pazienza era un market operator del “mondo di mezzo”, che non è al livello dell’Establishment ma con lo stesso dialoga da una posizione di subalternità.
Ma chi era veramente Frank Pazienza, se è possibile rispondere a questa domanda?
Ci provo. Tanti anni fa mi trovavo a Velletri, avevo quindici anni e affittai il film “I banchieri di Dio” di Giuseppe Ferrara: così lo guardai per la prima volta, e mi resi conto – attraverso la recita magistrale di Alessandro Gassman – figlio di Vittorio – che Pazienza aveva una Weltanschauung piccolo-borghese, punto sul quale inviterei a riflettere (è vero anche di Sergio Cusani e Ferdinando Mach di Palmstein); tra l’altro, la sceneggiatura del film è stata scritta benissimo sotto l’influenza di due persone: l’allora giudice istruttore Mario Almerighi e Carlo Calvi, il figlio di Calvi; quindi c’è una restituzione dei personaggi interpretati molto aderente al vero, cosa che mio padre non comprese deliberatamente nella sua ingenuità anglosassone. Egli ha fatto del “millantato credito” la chiave di accesso al successo, riuscendo se non altro a diventare uno degli interlocutori dei “white collar crimes” come nel film Il braccio violento della legge del 1971, con Fernando Rey: la gestazione di entrambi era oscurata da un tratto di mediocrità; ma la mediocrità è l’altra faccia della genialità, e la pellicola “Fuga da Alcatraz” con Clint Eastwood lo chiarisce stupendamente. Mediocrità e genialità sono unite dal “diniego”, che in Frank Pazienza era all’opera quasi al prezzo della vita.
Fu avvelenato in carcere a New York dove Gaetano Badalamenti “quasi pentito” si prese cura di lui. La “bontà dei Bontate” forse lo rendeva migliore di altri gangster: vedi Giuseppe Carlo Marino.
L’uomo tuttofare tra barche a motori, cocaina e donne come Sabrina Minardi ricevette da Santovito l’ordine di coinvolgere il trafficante di droga Maurizio Abbatino nel tentativo di assassinio in America del latitante Michele Sindona, poi fallito; non fallì invece l’istigazione al suicidio del presunto “salvatore della lira” mentre costui era detenuto nel supercarcere tecnologico di Voghera.
Racconterà Pazienza, il disubbidiente, come emerge dal libro “Trame atlantiche. Storia della Loggia massonica segreta P2” di Sergio Flamigni: “Fu una operazione supersegreta fattami fare da Santovito (il generale piduista Giuseppe Santovito, Nda). Campione, il capo-stazione di New York, non doveva sapere addirittura nulla della mia presenza in città durante gli incontri. “O.S.S.A.” voleva dire “Onorata Società Sindona Andreotti”. Vi era timore che Sindona cominciasse a parlare sui suoi rapporti con Andreotti perché ormai si sentiva abbandonato da lui. In effetti incontrai a New York una persona che già sapeva del mio arrivo. Gli incontri avvennero in un ristorante di Manhattan. Per riconoscimento io indossai un “principe di Galles” con cravatta bordeaux. Mi furono assicurati la totale cooperazione e “convincimento” dello stesso Sindona a starsene tranquillo. Santovito aveva quasi paura di riferire i risultati, peraltro sollecitati dallo stesso Andreotti, così mi mandò direttamente da lui. L’incontro avvenne nell’ottobre 1980, nello studio di Andreotti vicino al Parlamento. Un incontro kafkiano, incredibile. Dopo aver dato tutte le assicurazioni e rassicurazioni (circa il silenzio di Sindona, Nda), Andreotti se ne venne fuori con una “uscita” che sentii venire da lontano. Infatti, dopo aver parlato della sistemazione del problema Sindona, Andreotti iniziò a parlare smemoratamente di un avvocato “Gezzi” o “Gizzi”; poi si arrestò un istante guardandomi negli occhi. Io dissi: “Guzzi, onorevole”. Al che lui mi disse: “Bravo, non ricordavo il nome”. Figuriamoci, pensavo io. Mi chiese allora se fosse possibile dare una “sistemata” anche
all’avvocato Guzzi (di cui non ricordava il nome…), come era stato fatto con Sindona. Io gli risposi che ne avrebbe dovuto parlare con Santovito, perché di iniziative autonome non potevo prenderne. Naturalmente capiva, disse. Se poi abbiano “sistemato” Guzzi o meno, non lo so. Io riferii a Santovito, ma questi non me ne riparlò mai”.
Osservava Flamigni: “Davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2, Andreotti negherà l’incontro, e negherà perfino di conoscere Pazienza; ma l’incontro risulterà annotato su un’agenda sequestrata a Pazienza (e agli atti del processo per la strage di Bologna), e un altro incontro Andreotti-Pazienza verrà poi confermato dal giornalista democristiano Placido Magrì… “.
Ricordo che Giorgio Galli mi disse: “Il più grande mentitore professionista nella storia d’Italia è stato Giulio Andreotti. Il secondo è Silvio Berlusconi”.

Pazienza partecipò anche alle oscure manovre per conto e insieme a Michael Ledeen, un personaggio oggettivamente inquietante e Ledeen era in “affectio societatis” con George Bush senior: tutti insieme, tra cui Licio Gelli, ebbero una riunione o addirittura più riunioni a Parigi nel corso delle quali vennero concertate due manovre eversive; la prima è consistita nel ritardare la liberazione degli ostaggi americani detenuti nell’ambasciata di Teheran attraverso un accordo con Khomeini (erano 52), nel 1980 per rovinare l’immagine pubblica di Jimmy Carter e favorire Reagan, che era candidato repubblicano alla Presidenza; la seconda manovra, era screditare Carter con la pubblicazione di particolari piccanti sugli affari del fratello imprenditore con George Habbash del Fronte per la Liberazione della Palestina.
Ora, con questo “fuori-scena” Reagan fu facilitato nella vittoria delle presidenziali; sarebbe un errore, attenzione, dedurne che l’attore californiano era complice di queste operazioni sporche che sovvertivano le regole del gioco democratico, anche se Mikhail Khodorkovsky mi direbbe: “Lei ragiona proprio come un illuminista. E non capisce che la realtà esiste”. E forse – sia detto di passata – me lo direbbe lo stesso Gianni Bisiach, autore del libro “Il Presidente. La lunga storia di una breve vita” dove emerge il dato che John Kennedy e Richard Nixon rivaleggiavano in parità sotto lo scacco dei poteri criminali.
Chi scrive ha un’ammirazione per Khodorkovsky, che rimane un grosso punto interrogativo.
Il punto dirimente è che Reagan è stato l’“utilizzatore finale” dell’October Surprise architettato da persone appartenenti alla rete di potere occulto che volevano acquisire meriti presso di lui, per poi disporre di un’arma di ricatto nei suoi confronti: noi ti facciamo eleggere Presidente, ma tu hai un debito di riconoscenza nei nostri confronti; Pazienza, persona piena di difetti o con i difetti delle sue qualità, faceva parte della rete di potere “behind the scene” tra Italia e America, ma anche nella Francia della dottrina Mitterrand che trovava nell’Hyperion la sua genesi inconfessabile. Nel 1999, l’infame oligarca Boris Berezovskij ha usato la stessa tecnica aggravata dal terrorismo mafioso per piegare Putin.
La storia qui menzionata, cari lettori, è un capitolo decisivo della decadenza della civiltà occidentale diagnosticata da Oswald Spengler: cioè l’autoritarismo s’insinua nella debolezza “organicistica” dei regimi democratici al tramonto, tesi ripresa da Piero Ottone nell’opera “Il tramonto della nostra civiltà”, fino a preparare l’avvento del cesarismo o del fascismo persino negli Stati Uniti, considerati il perno della democrazia liberale nell’Occidente.
Così scrisse l’informatissimo Sergio Flamigni nel corposo libro “Trame atlantiche. Storia della loggia massonica P2” edito da Kaos edizione:

“… Confermando le risultanze dell’inchiesta del magistrato Carlo Palermo circa il rapporto traffico di armi-droga, Richard Brenneke (contractor della Cia, ndr) colloca la vicenda nel più ampio quadro della difficile situazione politica medio-orientale, dove la diplomazia segreta degli Stati Uniti ha utilizzato la P2 per organizzarvi traffici d’armi anche finanziati dal traffico degli stupefacenti. Secondo Brenneke, nell’ambito della guerra Iran- Iraq aveva assunto particolare rilievo la fornitura di armi all’Iran da parte dell’Europa, specie in relazione alla campagna elettorale per le presidenziali Usa (dove si fronteggiavano il democratico Carter, e l’accoppiata repubblicana Reagan- Bush) dal momento che l’Iran di Khomeini deteneva 52 ostaggi americani in Iran decisivi nel testa a testa fra democratici e repubblicani: se gli ostaggi non fossero stati liberati prima del voto, la circostanza avrebbe invece alimentato nell’opinione pubblica statunitense la reazione di destra favorendo il repubblicano Reagan. Così, nell’ottobre del 1980 si era svolta a Parigi una riunione segretissima per indurre il governo iraniano a ritardare il rilascio degli ostaggi al dopo elezioni, in cambio di forniture d’armi. Secondo Brenneke, alla riunione erano presenti “mister Casey, che sarebbe divenuto poi capo della Cia e che all’epoca era il responsabile della campagna elettorale di Reagan- Bush, e Donald Greg, allora alle dipendenze del servizio segreto. Alla riunione, in cui io ero presente, Bush non c’era, comunque mi risulta che in quei giorni si trovava a Parigi per colloqui che riguardavano appunto il rinvio della liberazione degli ostaggi. Anche Gelli prese parte a quegli incontri”. I 52 ostaggi americani erano infatti rimasti prigionieri fino all’elezione di Reagan alla Casa Bianca. “October Surprise” è la definizione attribuita all’affaire della trattativa fra esponenti della Cia legati al duo Reagan- Bush con gli iraniani per ritardare la liberazione dei 52 ostaggi americani; diventerà anche il titolo del libro sulla vicenda da Barbara Honneger (ex consigliera di Reagan e Bush alla Casa Bianca)”. In proposito, ha rivelato l’ex agente del Sismi Francesco Pazienza a Fq Millennium: “Michael Ledeen mi chiese di trovare le prove sul fratello di Carter che in Libia, all’anniversario della rivoluzione di Gheddafi, si era intrattenuto con George Habbash (capo del fronte palestinese, ndr). Io gliele trovai e successe un casino, ma Reagan avrebbe vinto comunque”.
Sul punto, Stefania Limiti non è d’accordo nell’intervista post mortem di Lanfranco Palazzolo, già autore del libretto pret a porter “Kennedy shock” edito da Kaos edizione: Reagan non avrebbe vinto comunque, ma fu massicciamente favorito. E’ materia controversa, come lo sbarco degli americani in Sicilia. Il 30 marzo 1981, due mesi dopo il suo insediamento alla White House, Reagan fu quasi ucciso da 7 colpi di calibro 22 sparatigli a bruciapelo dalla pistola di John Hinckley all’uscita dell’Hotel Hilton: per un soffio, Bush senior non divenne presidente. Hinckley aveva visto Bush junior il giorno prima dell’attentato (sic!). Arrivato alla Casa Bianca, l’attore mediocre sedotto alle idee di Milton Friedman non aveva ceduto ai diktat dei referenti del potere occulto e quindi questi gli hanno presentato il conto. Ci fu una crisi costituzionale perché l’allora segretario di Stato Alexander Haig assunse indebitamente le funzioni di Reagan degente, e fu attaccato dalla stampa; Haig invitò agli insediamenti di Carter e Reagan Gelli e Pazienza. La stessa scena si era ripetuta quasi vent’anni prima, con il pactum sceleris tra Allen Dulles e John Kennedy nella tenuta di Hyannis Port della famiglia Kennedy: però noi oggi sappiamo che quella di Dulles fu un’estorsione a Jfk, sul modello di quella che Bush senior ha fatto a Reagan. Risultato: quasi due presidenti ammazzati. Dov’è che voglio portare i lettori con la mia riflessione “kantiana”, direbbe Khodorkovsky Citizen K? Pazienza è stato l’agente di Oswald Spengler: il tramonto dell’Occidente si accelera al massimo; s’indeboliscono gli anticorpi di una civiltà, la civiltà è decadente, l’autoritarismo s’inserisce nella decadenza come un vuoto da colmare. Ma – attenzione – perché con Trump c’è un’ulteriore degenerazione rispetto ai fatti esaminati. Mentre Reagan, l’alfiere populista dei Chicago Boys, è arrivato quasi a farsi ammazzare pur di non piegarsi al condizionamento illecito delle forze reazionarie mostrando una resilienza da cowboy – però si piegherà alla gestione illegale e criminogena dell’“Iran Contras” sempre gestito da Bush –, Trump è colpevole nel senso tecnico del termine; non è un soggetto che cerca di smarcarsi dal ricatto extra-ordinem delle forze antidemocratiche, poiché è egli stesso un esponente della ragnatela criminale. Degno erede di Bugsy Siegel, è un nemico della democrazia. Però la democrazia volge al tramonto.
E quindi abbiamo bisogno di The Donald, per renderci conto che è il sintomo della massima accelerazione nella decadenza della civiltà che ha dato i natali a Charles Sècondat de la Brede di Montesquieu.
Tornando un attimo a Pazienza, nel maggio del 1982 prese parte a un incontro segretissimo nella villa all’epoca detenuta – proprietari senza capitali, o affittuari senza dignitas –, da Flavio Carboni e poi ceduta a prezzi senza mercato a Silvio Berlusconi, palazzinaro senza quattrini e con tanti debiti
come crediti; un meeting tra il faccendiere sardo, Paul Casimir Marcinkus, Pippo Calò e Vincenzo Casillo: il mandato omicidiario di Roberto Calvi, che ricattava Giovanni Paolo II per i 1.200 milioni di dollari imprestati al Vaticano da fonti poco pulite. Il sangue di Solidarnosc. Vedi la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma oggetto: procedimento penale nei confronti di Flavio Carboni, Ernesto Diotallevi e Silvano Vittor per concorso in omicidio.
Forse a quell’incontro era presente lo stesso Karol Wojtyla, che la sera usciva di nascosto (come scrisse un giovane cronista di nome Andrea Purgatori su “Il Corriere della Sera”), non certo per andare a benedire. Due anni dopo sarebbe stata rapita Emanuela Orlandi, che è ancora viva ma la cui liberazione è compatibile con il crollo del Vaticano. Vedete, torna Spengler. Ma Pazienza, fregato a New York dal double game di Michael Ledeen (le “menti raffinatissime” hanno i foruncoli viste da vicino), forse ha fatto in tempo a vedere un inizio di guerra civile negli Usa. Ed è proprio la fine della nostra civiltà.

di Alexander Bush

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Alexander Bush
Alexander Bush, classe '88, nutre da sempre una passione per la politica e l’economia legata al giornalismo d’inchiesta. Ha realizzato diversi documentari presentati a Palazzo Cubani, tra questi “Monte Draghi di Siena” e “L’utilizzatore finale del Ponte dei Frati Neri”, riscuotendo grande interesse di pubblico. Si definisce un liberale arrabbiato e appassionato in economia prima ancora che in politica. Bush ha pubblicato un atto d’accusa contro la Procura di Palermo che ha fatto processare Marcello Dell’Utri e sul quale è tuttora aperta la possibilità del processo di revisione: “Romanzo criminale contro Marcello Dell’Utri. Più perseguitato di Enzo Tortora”.

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