“Molti dei successi di Musk hanno origine dalla sua hybris,
la sua sfrenata ambizione, che è il suo superpotere e la sua
debolezza più grande”
Faiz Siddiqui, “Elon Musk. Hybris maxima”
Negli Stati Uniti avviene tutto alla luce del sole. Thomas Dewey mise in carcere Lucky Luciano e poi ricevette un finanziamento da un milione di dollari per la sua elezione a governatore dello Stato di New York dallo stesso Luciano registrato a bilancio. Trump ha minacciato di togliere i sussidi all’impero pre-bancarotta del suo più generoso finanziatore – leggi la “sindrome del beneficiato” –, ed Elon Musk ha minacciato di rivelare alla pubblica opinione il coinvolgimento del presidente americano negli “Epstein files”: cioè Eyes Wide Shut, tanto per essere chiari. Con il suicidio del pedofilo Jeffrey Epstein. Scrive Filippo Santelli nel suo dossier del 7 giugno 2025 su “la Repubblica” “Tagli ai finanziamenti, l’arma del presidente contro l’impero di Elon”:
“A parole Elon Musk ha sempre snobbato sussidi e aiuti pubblici. Nei fatti le aziende del suo impero tecnologico e industriale sono cresciute anche grazie al decisivo supporto dei contribuenti americani. Negli ultimi vent’anni, tra contratti, prestiti agevolati e incentivi, le varie Tesla, SpaceX e Co. avrebbero incassato dal governo Usa la bellezza di 38 miliardi di dollari, secondo una stima del Washington Post. Ed è lì che – se vorrà danneggiarlo o anche solo tenerlo sotto scacco – Donald Trump potrebbe colpire il suo ex amico e potenziale rivale, mandando in fumo miliardi di fatturato delle sue imprese, miliardi della sua sconfinata ricchezza personale e rendendo molto più complessa la sua missione di salvare l’umanità dall’estinzione. Certo, di risorse Musk ne ha parecchie: all’ultimo conteggio 335 miliardi di dollari. E quando si parla di tecnologie strategiche la dipendenza tra lui e il governo americano è reciproca: colpendo il campione nazionale gli Stati Uniti danneggerebbero anche loro stessi. Ma Trump non è certo nuovo ad atti autolesionistici, vedere i dazi. E d’altra parte nel suo arsenale avrebbe anche un’arma più sottile ma altrettanto potente, quella delle regole: i geniali slanci imprenditoriali di Musk, dall’Intelligenza artificiale alla guida autonoma, spostano le frontiere di tecnologia e business, e potrebbero essere ostacolati anche solo negando un’autorizzazione. O magari concedendola ai concorrenti, laddove esistono.”
Vi ricordate cosa fece Ugo La Malfa con Michele Sindona? E Sindona cominciò a impazzire.
Musk giuoca l’asso di poker: su X denuncia: “Donald Trump è nei file di Epstein. Questa è la ragione vera del perché non sono stati resi pubblici. Buona giornata, DJT”. “Segnatevi questo post, la verità verrà fuori”. Ma – si potrebbe obiettare a Musk – l’essere umano è incompatibile con la verità. Nell’articolo di Massimo Basile “Epstein e i festini proibiti, sospetti su Donald. I dem: verità su quei file”, il Diavolo è nei dettagli: “… Il nome di Trump era già emerso in una pagina della rubrica telefonica del finanziere (Epstein, ndr), assieme ai numeri dei cellulari dei figli Ivanka, Donald Jr ed Eric. Nei registri di volo, Donald viene citato sette volte a bordo del Lolita Express tra il 1993 e il 1994. Nel gennaio 2024 una delle presunte vittime di Epstein, Sarah Ransome, raccontò che una sua amica “era una delle tante ragazze che avevano avuto rapporti sessuali con Trump”. “Mi disse – aveva aggiunto – come lui continuasse a ripeterle quanto gli piacessero i suoi “capezzoli sodi”. Negli anni ’90 il tycoon aveva magnificato la sua amicizia con Epstein, ricordando come a entrambi piacessero le “belle donne, anche giovani”. Dopo l’arresto nel 2019 del finanziere, ne aveva preso le distanze (trovato morto suicida un mese dopo nella stessa cella che aveva ospitato l’agente del Sismi Francesco Pazienza, ndr). Senza fornire prove, Musk ha suggerito che tutto sia stato insabbiato per non compromettere il tycoon. Molti hanno pensato allo strano dietrofront della ministra Bondi, che all’inizio del suo incarico aveva annunciato l’intenzione di pubblicare tutti i file ma poi si era limitata a mostrare alcuni stralci. David Schoen, avvocato di Epstein nel 2019, ha escluso che il tycoon fosse coinvolto nel giro di pedofili. “Posso dire – ha dichiarato – senza equivoci e in modo definitivo che Epstein non aveva alcuna informazione che potesse danneggiare il presidente Trump. Glielo chiesi in modo specifico”. Nel 2021 Schoen ha difeso Trump nel secondo impeachment, quello legato al ruolo del tycoon nell’insurrezione del 6 gennaio.”
Orbene, “tre indizi sono una prova” per dirla alla Agatha Christie: a casa mia, si chiama istigazione al suicidio da parte dell’immobiliarista che si è servito di Schoen come Michael Corleone del suo legale Tom Hegen nel film Il Padrino, e che prestò il suo appartamento a New York a Taylor Hackford per girare una scena del film “L’avvocato del diavolo”. In ogni caso, dobbiamo ringraziare Musk che favorisce la teoria della Mano Invisibile secondo Adam Smith: tutelando egoisticamente i propri interessi, rafforza la democrazia… Esiste un’altra chiave, cospirativa: per effetto dello strano litigio tra Musk e Trump, l’Attorney general Bondi non può più pubblicare tutti gli Epstein files in quanto Trump sarebbe oggetto di un’estorsione del magnate sudafricano, che acquisisce così meriti presso l’uomo che può distruggere o salvare le sue aziende: prendere “due piccioni con una fava”; il modo di operare del proprietario di Tesla mi ricorda Boris Berezovskij, e qualche punto di contatto tra Russia e America c’è. Così è se vi pare, nel tramonto dell’Occidente dove la cospirazione fa rima con decadenza. Il giurista Philippe Couvreur mi ha scritto: “E’ tutto molto complesso e delicato”. Nella Fiera della Vanità, non c’è verità. I dem protestano: vogliamo la verità sul Dark Book di Epstein. Gli avvocati del Diavolo obiettano: l’Attorney General ha le mani legate, poiché The Donald è vittima di un ricatto extra-ordinem che lede la sua libertà nell’esercizio delle funzioni presidenziali. Genialità del crimine, ma anche l’ultimo capitolo del libro di Piero Ottone “Il tramonto della nostra civiltà”.
Nei miei diari, avevo scritto quanto segue nei giorni scorsi – aggiornandoli con la “dittatura del presente”; le notizie si rincorrono, e le riflessioni si aggiornano.
Anche le proprie convinzioni.
E’ un errore psichiatrizzare Donald Trump (che si mangia le persone); è un errore psicopatologizzare Elon Musk. Questo errore è stato commesso dallo psicanalista lacaniano Massimo Recalcati, che ha la presunzione fatale (vedi Friedrich Hayek) di considerare la psicologia alla stregua della scienza. Un’affermazione dogmatica per non dire reazionaria che è presente nel suo instant book “Elogio dell’inconscio. Come fare amicizia con il proprio peggio”, che a mio parere ha i colori della frustrazione. Ha scritto Recalcati nel gennaio 2024 su “la Repubblica” nell’articolo “Dio e la politica senza dubbio”, avendo ragione soltanto in parte ma non freudianamente:
“Uno dei fondamenti della democrazia consiste … nel non confondere il piano della dialettica politica e dei suoi inevitabili conflitti con quello della lotta tra religioni. Fare, al contrario, della lotta politica una guerra tra religioni è lo spirito che anima ogni forma di fanatismo che si colloca in netta alternativa allo spirito laico della democrazia. Freud faceva notare come l’esperienza della psicoanalisi fosse intimamente laica in quanto fondata sul rifiuto dell’esistenza di verità ultime. Quello che conta non è il possesso indubitabile della Verità ma la sua ricerca continua. Invocare Dio nella lotta politica significa invece sottrarre la politica al dubbio e, dunque, alla sua dialettica più vitale… “. Che cosa ha da dire Recalcati sul fatto che Freud istigò al suicidio l’allievo prediletto Viktor Tausk, che aveva portato avanti l’anti-Edipo in contrapposizione all’Edipo?
Al contrario di quello che sostiene Recalcati, Freud era schiacciato sulla pretesa validità universale dell’inconscio come ha scritto George Soros ne “Pensiero e realtà” del libro “Per una riforma del capitalismo globale”:
“L’indeterminazione. Benchè forse sia un dato ovvio, bisogna sottolineare che il fattore di incertezza di cui parlo non è frutto soltanto della riflessività; alla riflessività deve accompagnarsi una comprensione imperfetta. Se, grazie a qualche miracolo, le persone fossero dotate di una conoscenza perfetta, si potrebbe non tenere conto dell’interazione fra i loro pensieri e il mondo esterno. Siccome la reale situazione del mondo sarebbe rispecchiata perfettamente dalle loro idee, l’esito delle loro azioni corrisponderebbe perfettamente alle loro aspettative. Nello stesso modo, se il pensiero dei soggetti partecipanti fosse completamente determinato da circostanze esterne o da stimoli interiori, il fattore di incertezza sarebbe eliminato. Questo stato di cose è irrealistico, eppure è stato prospettato con tutta serietà. Karl Marx affermava che le condizioni materiali di produzione determinano la sovrastruttura ideologica; Sigmund Freud affermava che il comportamento umano è dettato dall’inconscio; la teoria economica classica era basata sull’assunzione di una conoscenza perfetta. In ciascuno di questi casi, l’impulso seguito è lo stesso: fornire una spiegazione scientifica del comportamento umano. In armonia con gli standard diffusi nel XIX secolo, la spiegazione doveva essere deterministica per soddisfare i requisiti della scientificità… “.
Revocare lo statuto di scienze agli psicologi è la proposta di Soros, la cui opera si può riassumere nella lotta all’ideologia: “… Secondo me esiste un modo migliore di quello di (Karl, ndr) Popper per proteggere il metodo scientifico. Non dobbiamo far altro che dichiarare che le scienze sociali non hanno diritto allo stesso statuto che riconosciamo alle scienze naturali. In tal modo si impedirebbe alle teorie sociali pseudoscientifiche di farsi belle con le penne del pavone e si scoraggerebbe l’imitazione pedissequa delle scienze naturali in ambiti impropri … La mia proposta declasserebbe
in modo fatale gli scienziati sociali dal loro status, quindi è improbabile che presto costoro essa sia ben accetta. La convenzione che suggerisco, ossia revocare alle scienze sociali lo statuto di scienze, ci consentirebbe di fare finalmente i conti con i limiti della nostra conoscenza e di liberare le scienze sociali dalla camicia di forza in cui sono state costrette dall’aspirazione al rango di scienza. E’ quanto ho proposto nel mio L’alchimia della finanza quando ho definito le scienze sociali una falsa metafora …”.
La simpatia di Soros, un genio equilibrato, è un dato di realtà e suo figlio Alexander ne raccoglie l’eredità filosofica e finanziaria. Questa interpretazione si collega alla riflessione elegante di Carlo Bastasin su “Affari e Finanza” de “la Repubblica” del 26 febbraio 2024, attraverso una lettura non pregiudizialmente freudiana di Donald Trump (9 mesi prima della sua elezione), e che vale anche per Elon Musk Icarus come lo ha definito Gabriele Romagnoli:
“Non c’è dibattito in questi giorni a Washington che non ruoti attorno a Donald Trump. Da quasi dieci anni, d’altronde, anche gli analisti più tecnici si interrogano sulla personalità dell’ex presidente, per immaginare che cosa significherebbe un suo ritorno alla Casa Bianca. Ci sono sforzi degni di indagini psicanalitiche che chiamano in questione l’imprevedibilità del temperamento di Trump, le sue reazioni umorali, i cambiamenti di linea improvvisi, le frustrazioni nei rapporti con la figura paterna e altri aspetti che lo avvicinano a una personalità affetta da disturbi antisociali sfociati nel sostegno agli estremisti che assaltarono Capitol Hill nel 2021. Dal punto di vista europeo, la lettura della personalità del candidato repubblicano alla presidenza non dovrebbe esimere da una riflessione più pragmatica. Trump nasce come erede di un’impresa edile il cui obiettivo era affermarsi a Manhattan, un’isola con spazi limitati dove era possibile guadagnare solo abbattendo vecchi edifici e costruendone nuovi. Da qui la visione trumpiana di un’economia e una società a somma zero: posso costruire solo se distruggo e sconfiggo un concorrente (Liliana Dell’Osso direbbe: psicopatico, non matto, ndr). Politica e amministrazione sono funzionali a questa visione pre-ricardiana. In modo rivelatore il figlio di Trump ha difeso il padre, colpito da ingenti sanzioni fiscali, osservando che la multa era una grave ingiustizia nei confronti di un uomo che “ha dato il suo carattere allo skyline della città”.
Da presidente, Trump ha applicato questa logica negoziale con tutti i suoi interlocutori, ha minacciato la Germania di imporre dazi sulle auto importate per poi frenare dopo aver ottenuto maggiori investimenti tedeschi in America. Ha minacciato Pechino di rappresaglie terribili, per poi recedere a fronte della promessa cinese di acquisti aggiuntivi di merci americane per 200 miliardi di dollari. Un commentatore del Financial Times ha osservato che la visione “transazionale” di Trump può essere interpretata anche come una strada per negoziare con lui …”.
Osserva Bastasin che Trump divide il mondo in vincitori e perdenti, ma il problema è se ciò accade nella più grande crisi finanziaria e sociale dal 1929; Bastasin porta il liberismo al “punto di equilibrio”:
“… Anche l’economia europea deve adeguarsi al nuovo aggressivo assetto globale, ma questo è complicato dal fatto che un altro potente fattore trasformativo – le nuove tecnologie – rispondono alla stessa logica dei costruttori di Manhattan dove “il vincitore prende tutto”. Tra il 1995 e il 2008, l’economia dell’Ue ha perso il 20% di produttività a seguito dei ritardi negli investimenti in tecnologie informatiche. In un recente discorso, Isabel Schnabel (Bce) individua i motivi in un eccesso di regolazione europea che frena la crescita dimensionale delle start-up e in pratiche di management conservative… Applicare categorie psicanalitiche alla personalità di Trump è una scorciatoia per negare le proprie responsabilità. L’Europa, nata dal ripudio del proprio passato, deve imparare ora a guardare al proprio futuro.”.
Sì, non usiamo il trucco del “benaltrismo” per estendere Bastasin.
Veniamo ora a Elon Musk, ex direttore del Doge: Dipartimento per l’efficienza imperniato sul darwinismo aziendale trasferito in politica che ha come fondale ideologico Milton Friedman, e non
a caso mesi fa il plutocrate che è uno strano incrocio tra Howard Hughes e Joseph Goebbels citò proprio il discorso sulla matita di Friedman per prendere le distanze da Trump Citizen K in merito all’autarchia di “America First”.
Il punctum dolens delle dimissioni di Musk è che la realtà – la grande passione di George Soros – ha frustrato la “grandiosa semplificazione” dell’ideologia, e non restava che prendere atto del fallimento della deregulation in politica uscendo di scena, in un momento in cui l’America sta precipitando nella Seconda Grande Depressione “a pezzi”; vedere nella psicopatologia borderline di Musk Icaro il primum movens del proprio licenziamento di fatto avallato da Trump, è un difetto d’interpretazione che non tiene conto che la realtà esiste. Scrive l’acuto osservatore-corrispondente Paolo Mastrolilli su “la Repubblica”, quasi aggiornando l’opera magistrale di George Soros “Per una riforma del capitalismo globale”:
“La realtà è che Musk aveva promesso tagli per duemila miliardi di dollari alla spesa pubblica, ma si è fermato a circa 160. Il resto giura che arriverà dopo, ma si vedrà. Il dissenso pubblico con Trump sulla legge di bilancio sembra invece rivelare un’altra realtà. Forse Donald era rimasto sorpreso dal suo appoggio durante la campagna elettorale e, non sapendo bene cosa dargli in cambio, si era inventato il Doge. Una volta creato il dipartimento, aveva pensato di metterlo a frutto per risparmiare i soldi che gli servivano a finanziare gli enormi tagli alle tasse per gli amici contenuti nella legge di bilancio, salvando almeno l’apparenza di essere fiscalmente responsabile. Elon non ha abboccato e questa è stata la goccia che ha fatto traboccare un vaso già pieno.
Si è capito anche dalla fretta con cui il presidente si è lasciato trascinare su altri terreni dalle domande dei giornalisti, quasi dimenticando l’ospite in piedi accanto alla scrivania… “.
Questi sono i tempi della spesa in disavanzo, non della riduzione del debito pubblico.
Con un colpo di genio, Gianni Riotta osserva su “la Repubblica”: “… Presidenti metodici come Eisenhower, brillanti come Reagan, coraggiosi come Kennedy mai avrebbero immaginato che dalla Casa Bianca si potesse organizzare un vaudeville come quello visto ieri (30 maggio 2025, ndr), con Trump a dichiararsi d’accordo con la senatrice di sinistra del Massachussetts Elisabeth Warren, nel volere cancellare il tetto al debito pubblico Usa, mostruoso gorgo da 32.600 miliardi di dollari. La Warren vuol farlo per incrementare la spesa pubblica, Trump perché detesta il rigore fiscale, eredità dei falchi del Grand Old Party Repubblicano…”. Ma, attenzione, The Donald è di fatto d’accordo con la Warren. Resta aperta la questione se Trump sia disposto – in discontinuità con il passato – a voler cancellare il tetto al debito pubblico Usa proprio per incrementare la spesa pubblica; “cambiano i fatti, cambio le mie opinioni”, fu la famosa battuta di John Maynard Keynes.
A parere di chi scrive, non è capace di compiere un così significativo passo in avanti che aggiornerebbe la “Trumpnomics” al passo con la realtà. Cancellare il tetto al debito, del resto, apre la strada alla traduzione nei fatti della spesa in disavanzo (vero pallino per chi scrive) che l’ostruzionismo al Congresso del portavoce repubblicano Kevin Mc Carthy negò all’allora presidente Biden; pretendere un mutamento keynesiano nel registro di un uomo drogato di ideologia come Trump, è troppo bello per essere vero. Scusate l’autocitazione del 25 febbraio scorso, ma nel pezzo “Trump e Musk ignorano il “punto d’equilibrio” avevo scritto: “… E’ opportuno citare in questa sede passaggi salienti della requisitoria pubblicata da Hillary Clinton per la traduzione di Anna Bissanti sul Financial Times quand’era presidente Biden, un Roosevelt dimezzato. Un Roosevelt tentato, ma frustrato. Perché il peggio deve ancora arrivare, e forse avrà i colori della guerra civile: “Lo speaker della Camera dei rappresentanti Kevin Mc Carthy sta facendo una richiesta di riscatto. I suoi ostaggi sono l’economia e la credibilità dell’America. Mc Carthy ha avvertito che, se il presidente Biden non accetterà tagli all’istruzione, all’assistenza sanitaria, all’assistenza alimentare per i bambini poveri, i repubblicani della Camera si rifiuteranno di alzare il tetto al debito del governo federale rischiando, teoricamente, di innescare una crisi finanziaria globale …”.
Osservava con lungimiranza l’ex First Lady: “… Iniziamo sfatando subito un mito. Il dibattito sul tetto del debito non concerne l’autorizzazione ad altre spese, ma il saldo da parte del Congresso dei debiti che ha già contratto. Rifiutarsi di pagare vorrebbe dire fare qualcosa di simile a saltare una rata del mutuo, solo che si avrebbero ripercussioni globali. Per il ruolo che gli Usa hanno nell’economia internazionale – e per il dollaro – essere inadempienti nei confronti dei nostri debiti potrebbe innescare un tracollo finanziario globale…”.
Le dimissioni del plutocrate senza polis affetto dall’Asperger sotto soglia – non dalla “sindrome di Asperger” (sic!) –, avvengono su questo sfondo, non della psicanalisi. Le Fondazioni per la Società Aperta riempiono il vuoto di Elon Musk, un pallido figurante di se stesso.
Farà la fine di Howard Hughes, con i colori di American Tabloid.
di Alexander Bush