Oggi ho saputo che hai concluso la maturità. Bravo, ragazzo mio. Non solo per il risultato — che so essere stato buono — ma per aver attraversato una delle prime grandi soglie della vita. Ce ne saranno altre, alcune più visibili, altre che capirai solo col tempo. È per questo che ti scrivo. Non per insegnarti nulla — non spetta a me, e poi hai già la tua testa — ma per lasciarti una riflessione, come si fa con una vecchia fotografia: ingiallita, magari, ma vera.
Vedi, Matteo, io credo che la vita di un uomo somigli molto a una giornata. Non una qualsiasi, però. Una di quelle giornate d’estate, quando il tempo scorre con un ritmo che ti permette di pensare, di sognare, di sentire. Provo a spiegarti.
La mattina, per me, è l’infanzia e la giovinezza. Il momento in cui si sogna e si progetta. Tu sei proprio lì, adesso. Hai davanti un foglio bianco e mille penne con cui riempirlo. È il tempo delle grandi domande e delle risposte ancora lontane. Ti sembrerà che tutto sia possibile, e in effetti lo è. Non lasciare mai che qualcuno ti dica il contrario. È anche il momento in cui ci si disegna da soli: che tipo di uomo sarò? Dove vorrò vivere? Con chi? Farò un lavoro che mi piace? Viaggerò? Aiuterò gli altri?
Questi sogni sono necessari. Non sono illusioni: sono le fondamenta. Più grandi sono, più solido sarà l’edificio. Ma ricordati che sognare non basta. Serve poi alzarsi dal letto.
E allora viene il mezzogiorno. Il sole è alto, il caldo si fa sentire: è il tempo in cui si lavora, si costruisce, si fa fatica. È la lunga stagione dell’età adulta. La più impegnativa. I sogni del mattino diventano progetti concreti, o svaniscono se non li curi abbastanza. Si lavora, si ama, si sbaglia, si ricomincia. È il tempo degli amici che diventano fratelli, degli amori che diventano famiglie, delle responsabilità che fanno paura ma danno senso. È anche il momento in cui il tempo sembra sempre poco. Si corre, si dimenticano certe cose — anche se importanti — perché si è presi da mille doveri. Si guarda l’orologio, si dice “poi lo farò”. E a volte quel “poi” non arriva mai.
Io, nel mio mezzogiorno, ho fatto molto. Ho costruito una casa, ho cresciuto una famiglia, ho fatto un lavoro che non sempre mi piaceva ma che facevo con onore. Ho sbagliato tanto, ma ho cercato di sbagliare in buona fede. Ho capito, con il tempo, che la coerenza non è non cambiare mai idea, ma non tradire mai i propri valori.
Poi, un giorno, senza accorgerti, sei già nel pomeriggio. I figli crescono, i doveri si allentano, e cominci a gustare i frutti di ciò che hai seminato. È un momento dolce, se sei stato fortunato o se hai lavorato bene. Si raccolgono carezze, sguardi, silenzi pieni. Si guarda la strada fatta, e si sorride. È come il caffè dopo pranzo, il libro sotto l’ombrellone, la passeggiata nel tardo pomeriggio. Non è più tempo di rincorrere, ma di apprezzare.
Per me, il pomeriggio è stato il tempo in cui ho potuto guardarvi crescere. Tu, tuo fratello, i cugini. Vedere i vostri occhi brillare come brillavano i miei tanti anni prima. Sentire che, in fondo, qualcosa di me continua anche se io sono stanco.
E infine arriva il tramonto. Il cielo si tinge di colori che non avevi mai notato. Le ombre si allungano, e i ricordi si fanno più vivi. È il tempo in cui si pensa a ciò che si è fatto, e a ciò che non si è riusciti a fare. Ai sogni rimasti nel cassetto, ai treni persi, alle parole non dette. Qualche rimpianto si annida silenzioso, inevitabile. Nessuno ne è immune. Si impara ad accettarlo, a farci pace. Anche il tramonto ha la sua bellezza, Matteo. Una bellezza malinconica, ma piena. Perché è lì che capisci davvero chi sei stato.
Ora io sto camminando verso la notte. Non fa più paura come un tempo. È un luogo silenzioso, dove si spera solo di poter avere dei bei sogni. Perché anche alla fine della vita, si continua a sperare. Si spera di aver lasciato qualcosa di buono, un ricordo, un gesto, una carezza. Si spera che chi viene dopo non commetta gli stessi errori, o almeno li commetta con più leggerezza. E sì, lo ammetto, la paura dell’incubo — del nulla, del rimpianto, della solitudine — a volte mi sfiora, ma ho imparato ad addormentarmi comunque.
Caro Matteo, tu sei all’alba della tua giornata. Non avere fretta di correre verso il tramonto. Ogni ora ha il suo tempo, ogni stagione la sua grazia. Ma ricordati questo: non vivere mai in automatico. Ogni scelta che fai, falla con consapevolezza. Anche sbagliare va bene, se lo si fa da svegli.
Ti auguro sogni forti, pomeriggi dolci, e tramonti sereni. E quando verrà la tua notte, che sia piena di stelle.
Con tutto il mio affetto,
di Alessandro Prisco