ERGASTOLO OSTATIVO, ECCO IL PROBLEMA


“La repressione violenta e indiscriminata, l’abolizione dei diritti dei singoli non sono gli strumenti migliori per combattere certi tipi di delitti e associazioni criminali come mafia, ’ndrangheta e camorra. La soluzione passerà attraverso il diritto o non ci sarà; opporre alla mafia un’altra mafia non porterebbe a niente, porterebbe a un fallimento completo”.
Leonardo Sciascia,”La lezione di Sciascia trent’anni dopo: il maxi processo può e deve fare giustizia” di Giuseppe Pignatone su “La Stampa”

E’ accaduto un fatto importante sul fronte della civiltà giuridica: la Cedu – Corte Europea dei diritti dell’uomo – ha fotografato l’insostenibilità del cosiddetto “ergastolo ostativo”, poiché lo stesso configura una palese violazione del principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla Legge – aprendo poi la strada alla Corte Costituzionale che – nell’eterno gattopardismo italiano –, ha di fatto deciso di non decidere, dando la palla al potere legislativo dello Stato perché a sua volta colmi il vuoto normativo preesistente cristallizzando però lo status quo dei vari Di Matteo, Scarpinato, Lombardo e Sergio Lari: i santuari della Magistratocrazia (lo dico scusandomi per i neologismi alla Benito Mussolini che non piacciono a chi scrive); in Italia nulla cambia, affinchè tutto resti come prima. Che cos’è l’ergastolo ostativo? Riassumendo brutalmente: è la legalizzazione de iure e de facto dell’estorsione ai cosiddetti boss mafiosi irriducibili come i fratelli Graviano, ma non soltanto: noi dello Stato vi restituiremo la libertà soltanto a condizione che voi collaboriate con l’Autorità Giudiziaria parlando dei delitti della mafia in cui siete coinvolti; altrimenti “fine pena” mai.
Attenzione, perché il pm Henry John Woodcock – sorprendentemente passato dal giustizialismo al più maturo garantismo degli ultimi anni, complice forse il fallimento sistematico cui sono andate incontro le sue inchieste – ha bocciato apertis verbis come irricevibile in uno Stato democratico di diritto il metodo Falcone che ha fondato la mostruosità dell’ergastolo ostativo, in una requisitoria molto bella che è stata pubblicata su “Il Fatto Quotidiano” versus Marco Travaglio; vale la pena riportarne ampi passaggi, anchè perché il maxiprocesso a Cosa Nostra era anticostituzionale e illecito come vedremo meglio nella trattazione del presente saggio: addirittura extra-ordinem, cioè senza prove; non è però politicamente corretto affermarlo in un paese piccoloborghese come l’Italia, eppure si tratta di una questione giuridica tout court.
La parola a Woodcock, che così condanna l’eredità di Giovanni Falcone che, (bisogna sempre diffidare delle cosiddette icone), non era al livello del suo collega antagonista Corrado Carnevale, molto più attento del primo a rispettare le “regole del gioco”:

“Caro direttore, la considerazione e la stima che connotano i nostri rapporti mi consentono di affrontare un argomento sul quale – almeno così credo – abbiamo idee e posizioni diverse.
Come è noto a tutti, l’11 maggio 2021 sono state depositate le motivazioni dell’ordinanza n.97/2021 con la quale la Corte costituzionale si è pronunciata sull’annosa questione della legittimità costituzionale del così detto “ergastolo ostativo”, nozione elaborata nei primi anni 90 nel contesto di quella “legislazione di emergenza” – che rappresentò la risposta dell’ordinamento alle stragi di mafia e, prima ancora, del terrorismo che avevano insanguinato il Paese.
Si tratta di una normativa (la normativa Falcone-Martelli del 1992, nda) che prevede una serie di benefici (quali l’accesso al lavoro esterno, ai permessi premio, alla semilibertà, alle misure alternative alla detenzione e, da ultimo, alla liberazione condizionale) per i detenuti condannati all’ergastolo per delitti commessi con metodo o finalità mafiosi, salvo che il detenuto non abbia collaborato con la giustizia. Un regime dunque che – in una logica squisitamente “neo retribuzionistica” – ha delineato un sistema mirante all’annientamento di un presunto “nemico”, e bandito qualsivoglia prospettiva di un suo reinserimento nella società civile, lasciandogli come unica via d’uscita la “scelta” imposta di collaborare con la giustizia.
Ebbene, tale sistema è stato definitivamente scardinato dalla pronuncia della Corte costituzionale
del 15 aprile 2021 con la quale la Consulta, sulla base delle precedenti sentenze della stessa Corte e della Cedu, sembra aver definitivamente eliminato il sopra richiamato automatismo della presunzione assoluta di pericolosità sociale fissata dall’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario, riaffermando, anche rispetto ai detenuti condannati all’ergastolo per i delitti di mafia e di terrorismo, il fondamentale principio della polifunzionalità della pena, e in particolare la funzione rieducativa della pena stessa sancita dal 3 comma dell’articolo 27 della Costituzione, passando, tuttavia – con una tecnica che, a mio avviso, non può che suscitare qualche perplessità – il “testimone” al legislatore ordinario che dovrà, entro il termine di un anno, approntare una riforma che sia coerente con i principi affermati dalla Consulta.”
E nel passaggio successivo, il lucido e attentissimo Woodcock fa capire tra le righe come la Consulta cerchi di salvare di fatto il potere autoritario della corporazione togata che da trent’anni tenta di estorcere dichiarazioni contro Silvio Berlusconi ai fratelli Graviano, con un escamotage furbissimo; vediamo subito come:
“Per quanto mi riguarda”, puntualizza Woodcock con un’osservazione totalmente condivisa dal fine giurista Ferdinando Cionti, “la disciplina dell’ergastolo ostativo di cui all’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario mi ha lasciato da sempre non poco perplesso. E qualche perplessità mi viene anche dalla pronuncia della Corte costituzionale dell’aprile 2021, sia per la tecnica utilizzata del rinvio al legislatore, sia per alcune indicazioni che la stessa Consulta, tra le righe, sembra dare sulla scelta dei parametri e dei criteri a cui dovrà essere ancorata l’abolizione della preclusione alla concessione della libertà condizionale (mi riferisco in particolare al passo nel quale il giudice delle leggi suggerisce che il legislatore potrebbe fissare, tra le condizioni cui subordinare la concessione dei benefici, anche la sussistenza o l’accertamento di “specifiche ragioni della mancata collaborazione” da parte del detenuto condannato all’ergastolo per i delitti sopraindicati). Invero, ho solo avuto – per ragioni anagrafiche – la possibilità di ascoltare e di leggere nei media alcuni interventi di Giovanni Falcone, acuto e tenace investigatore, unico e “moderno”, e mi è parso in tutta franchezza culturalmente e ideologicamente lontano da alcune delle più che rispettabili posizioni che capita in questi giorni di leggere sui giornali.”.
Ma un conto è Giovanni Falcone, e un altro conto è la degenerazione della sua già discutibile eredità professionale nelle mani dei vari Scarpinato.
Woodcock censura in punto di garantismo la Corte Costituzionale per la sua furbata:
“Ciò che giustifica pienamente il sospetto che si tratti in realtà di un regime che vuole punire chi non “si pente” o, peggio ancora, di una sorta di tortura intesa a favorire la “collaborazione”, e ciò perché per “pentimento” nella nostra prassi giudiziaria non si intende affatto quel travaglio morale che porta a una revisione critica del proprio passato, e di conseguenza a un autentico ravvedimento con la conseguente decisione di cambiare vita. No, significa solo confessione e, soprattutto, delazione. Insomma, proprio la finalità tipica che si propone la tortura.
Orbene, proprio questo è il fulcro e l’aspetto nodale della questione tornata, negli ultimi giorni, agli onori della cronaca”.
Orbene, le considerazioni di cartesiana razionalità dell’ex pm di Potenza si allacciano direttamente al grave trattamento vessatorio da parte dell’Autorità Giudiziaria denunciato da Giuseppe Graviano, recluso al 41-bis dell’ordinamento penitenziario, che ha dichiarato ai pubblici ministeri di essere costretto a rilasciare dichiarazioni in pregiudizio a Berlusconi e Dell’Utri per non essere distrutto (sic!) che, tra l’altro, nulla c’entrano con i delitti allo stesso contestati, e nulla possono centrare con i delitti per cui Graviano è recluso; il fatto emerge dalla lettera aperta di Giorgio Bongiovanni a Giuseppe Graviano pubblicata su Antimafia Duemila.
Così ha dichiarato Graviano ai pm: “Io sono distrutto psicologicamente e fisicamente con tutte le malattie che ho, perché da 24 anni subisco vessazioni denunciate alle procure e le procure niente. Da quando mi è arrivato questo avviso di garanzia, entrano in stanza, mi mettono tutto sottosopra. I documenti processuali sono strappati. Mi hanno fatto la risonanza magnetica perché mentre cammino perdo l’equilibrio e hanno trovato una patologia che mi porterà a perdere la memoria, sarà tra cinque o dieci anni. Io assumo ogni giorno cinque capsule di antidepressivi, solo di antidepressivi e subisco vessazioni dalla mattina alla sera. Entrano in stanza e mi fanno tre perquisizioni a settimana”.
In altre parole, i rappresentanti della Legge torturano Giuseppe Graviano, ed è questo sistema criminogeno e illegale che la Consulta gattopardescamente tutela, come spiega Woodcock con
fulminante lucidità al termine della sua requisitoria:

“Il problema non è quello di stabilire se un numero più o meno elevato di mafiosi debbano o meno uscire dalle “patrie galere” (come invece, per la verità in modo un po’ semplicistico, viene mediaticamente rappresentato); non si tratta, cioè, di stabilire se soggetti (mafiosi e non) che hanno anche ammazzato decine di persone spesso innocenti, possano, in assoluto, godere o meno di alcuni benefici. Si tratta, invece, di stabilire se la collaborazione (e cioè se la delazione) costituisca o meno l’unico e solo presupposto che consenta di accedere ai benefici in questione a quelle stesse persone che hanno commesso quegli stessi crimini efferati, stabilendo, dunque – evidentemente solo in relazione a tale categoria di detenuti – una coincidenza esclusiva e una assoluta sovrapponibilità tra il percorso “rieducativo” cui fa riferimento l’art. 27 della Costituzione e la delazione.
E’ proprio questo binomio inscindibile, ovvero questo vero e proprio sillogismo aristotelico tra la concessione dei benefici e la delazione che non solo non mi convince, ma che trovo personalmente in qualche modo aberrante, oltrechè in stridente contrasto con la sopra richiamata funzione rieducativa della pena stessa sancita dal richiamato 3 comma dell’articolo 27 della Costituzione, e la Costituzione è una “cosa seria” che va applicata sempre e comunque e non una volta sì e una volta no”.

Henry John Woodcock fa riflettere a chi scrive sul fatto che la Giustizia è imperniata sulla filosofia, e il termine “sillogismo aristotelico” è intimamente connesso al significato della parola paralogismi inventata da Immanuel Kant; per sillogismi aristotelici si intende quanto segue, alla voce Redazione studenti su Internet: “Sillogismi dialettici, le cui premesse sono probabili, accettate dai più, ma non necessariamente vere. Rientrano nel novero delle discussioni e sono fondati sul procedimento dialettico e non su quello scientifico (o dimostrativo)”; “E’ più vero che se fosse vero!”, per citare una famosa battuta di Indro Montanelli.
In altre parole, si usa la teoria per rifondare la realtà anziché tenerne conto.
E questo non va bene.
La ragione fa parte della realtà, e ad essa si deve adeguare altrimenti abbiamo l’imbroglio come il manipolatore Franco Cordero che trasformò la cosiddetta “nullità de quo” in “nullità de quibus” nei processi contro Cesare Previti.
L’imbroglio non è forse la negazione della realtà?
Nella prossima puntata un caso pratico: il maxiprocesso

di Alexander Bush

Sull'Autore

Alexander Bush, classe '88, nutre da sempre una passione per la politica e l’economia legata al giornalismo d’inchiesta. Ha realizzato diversi documentari presentati a Palazzo Cubani, tra questi “Monte Draghi di Siena” e “L’utilizzatore finale del Ponte dei Frati Neri”, riscuotendo grande interesse di pubblico. Si definisce un liberale arrabbiato e appassionato in economia prima ancora che in politica. Bush ha pubblicato un atto d’accusa contro la Procura di Palermo che ha fatto processare Marcello Dell’Utri e sul quale è tuttora aperta la possibilità del processo di revisione: “Romanzo criminale contro Marcello Dell’Utri. Più perseguitato di Enzo Tortora”.

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