Ridurre i costi della politica non basta!

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angelo2
Attualmente si fa un gran parlare (per ora solo poco più che parlare) della riduzione dei costi della politica: operazione non solo necessaria, ma doverosa, ineludibile e da attuare al più presto.
Infatti prioritaria è la necessità di moralizzare la politica, ridurne i costi, abbatterne sprechi e abusi: si può chiedere a noi cittadini di fare sacrifici per garantire un futuro all’Italia, ai giovani, ai più sfortunati, ma certamente non per garantire i privilegi, gli abusi e gli sprechi di una certa politica..

Ma esiste un “ma” fondamentale: basato su quei numeri che spesso si dimenticano o si trascurano…

Una volta ridotti i costi della politica il problema dell’Italia rimane praticamente invariato perché:

  • 800 miliardi sono il bilancio annuale: cioè quanto spende ogni anno lo Stato italiano per funzionare
  • 3 miliardi sono quanto si spende per la politica
  • 80/90 miliardi quanto si spende in interessi del debito pubblico

E’ cioè evidente che, anche se si riesce (e ne dubitiamo fortemente) a dimezzare la spesa per la politica si otterrebbe un risparmio di 1/2 miliardi l’anno: il 3/4 % di quanto si spende per il debito: una pagliuzza.

E se si considera che la tanto discussa abolizione dell’IMU sulla prima casa costa circa 4 miliardi e il mancato aumento di un punto dell’IVA altri 4 miliardi, non si può non considerare che il vero macigno sui conti pubblici (e quindi sul futuro dell’Italia) sia il debito pubblico testè salito a 2040 miliardi!
Se avessimo un debito pubblico dimezzato potremmo ridurre l’IVA di 10 punti oppure destinare 40 miliardi l’anno agli investimenti: mentre oggi fatichiamo a racimolare 1 miliardo per aiutare i giovani a trovare lavoro!

Che fare?
Secondo i Comitati un’agenda per lo sviluppo dell’Italia dovrebbe:

  • una volta affrontati e risolti (subito) i problemi della riduzione del costo della politica in generale (riduzione del numero e del costo dei parlamentari, abolizione delle province, accorpamento dei comuni, abolizione del finanziamento ai partiti, riduzione del numero di enti e ministeri ecc ecc)
  • prendere in considerazione e iniziare la discussione sulle misure possibili per la riduzione del debito pubblico che, altrimenti, finirà per strangolarci tutti

Con 2040 miliardi di euro di debito (32000 € a testa!) ritenersi soddisfatti per un risparmio di 1 o 2 miliardi sarebbe come curare una polmonite con l’aspirina
Tanto peggio se, con la scusa di dover pensare prima all’occupazione, non si facesse neppure questo!

Angelo Gazzaniga

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Angelo Gazzaniga
Presidente del Comitato Esecutivo di Libertates. Imprenditore nel campo della stampa e dell’editoria. Da sempre liberale, in lotta per la libertà e contro ogni totalitarismo e integralismo.

1 commento

  1. Il macigno non potrà mai essere spezzato e faticosamente ridotto, possibilmente in frammenti, senza uno choc da svalutazione del debito, a costo da rischiare un processo inflattivo duraturo (ma già siamo in rec-flazione, vale a dire recessione profonda accompagnata da inflazione non dichiarata oppure intrinseca. determinata dalla costante diminuzione di qualità delle merci a parità di prezzo) .
    L’antica ricetta democristiana, praticata tuttora con successo da Us-Gb-Giappone, ha non poche controindicazioni, tuttavia resta imbattibile. Purtroppo l’Italia ha il non trascurabile problema di non possedere più una moneta e nemmeno di non potere esercitare un controllo su di essa. Di conseguenza il cane si morde la coda: a causa di un euro deflattivo il nostro debito aumenta, e con esso il costo del servizio, determinando nuova recessione e ulteriore aumento del debito, emerso o sommerso che sia.
    Prima o poi, anzi assai prima che dopo, la classe dirigente di questo Paese non potrà più rinviare una scelta di fronte al dilemma se cambiare/lasciare questo euro (o almeno accompagnarlo con una moneta-b) oppure condannare la nostra economia del nord a un punto di non ritorno. E dovranno deciderlo in una notte: faccio notare che ferragosto è vicino…
    Si potrebbe anche rispolverare il modello genovese del Rinascimento, che funzionò per secoli a meraviglia: la privatizzazione di una parte del debito attraverso un’entità oligarchica (all’epoca l’Officio di San Giorgio) di fatto compenetrata con lo Stato. Del resto oggi gli oligarchi il potere stringi stringi lo detengono già: e allora si gestiscano anche il debito, almeno una parte di esso. Ma sarebbe troppo innovativo per l’Italia, l’Europa e i politici di oggi, e certamente cambierebbe il senso della nostra democrazia.
    Non resta dunque che una spirale inflazionistica con tutti i suoi rischi: ma sempre meglio inflazionati che morti.
    Nondimeno una politica coraggiosa di tale tenore non può fare a meno anche del suo apparente opposto, vale a dire la virtù del risparmio e dei tagli per un ineludibile rientro programmato dal debito.
    Perchè in fondo il problema non è l’Italia in sè, quanto la nostra condizione rispetto all’insostenibilità globale del debito occidentale. Provate a fare i conti, e vedrete che il debito pubblico complessivo di Usa, Europa con Polonia e Turchia, Regno Unito e Giappone equivale al 50% del Pil mondiale e a circa NOVE VOLTE il Pil del continente africano. Non esiste risparmio privato mondiale in grado di finanziare ancora per lungo tempo un mostro del genere. L’Italia è un’emergenza non in sè, ma piuttosto come anello debole della catena europea appesantita da un euro fondamentalmente sano, moneta di un’area economicamente più forte degli Usa, però troppo rara per diventare moneta di scambio generale e per poter sostenere la ripresa economica. E’ come avere un lingotto d’oro da un quintale e cercarlo di vendere a una platea di piccoli esercenti: non ci riusciremo se non spezzettandolo, e allora potremmo anche aumentarne il prezzo. A una fase inflazionistica, con l’euro o senza euro, tuttavia legata a doppio filo a virtù austere, non c’è alternativa.

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