Mario Camilli, un pittore giudica la vera Cuba


Gli stranieri si innamorano dell’isola.
Cuba è stata storicamente un’attrazione per gli stranieri, per artisti, scrittori, celebrità, forse perchè l’incanto speciale dell’isola ci spinge a viverla. Già nel XIX secolo, quando iniziò a formarsi una succulenta cultura dello zucchero, molti arrivavano come turisti od avventurieri e rimanevano nell’isola per un periodo o per sempre, già allora per questo la chiamavano la Perla delle Antille. Il paesaggio naturale e la fantasia edonistica riempirono di illusioni chiunque volesse trovare fortuna nel lavoro e nell’amore. Ovunque rimangono impronte migratorie accoppiate allo spagnolo e l’africano, splendenti impronte culturali internazionali.
La presenza italiana si sentiva già nelle colonie spagnole dal secolo XVI. Cristobal de Roda, ingeniere italiano e costruttore del castello del Morro di Santiago di Cuba, morì all’Avana nel XVII secolo. Nei secoli successivi fino al XX secolo c’è una introduzione costante di italiani, francesi, cinesi, nordamericani, ebrei e latinoamericani, e grandi artisti che passano lasciando il loro apporto. Gli italiani sono una rappresentanza numerosa (1), con buoni esponenti culturali, ricordiamo le regali sculture del capitolio realizzate da Angelo Zanetti, l’invenzione del telefono nel 1849, di Antonio Meucci, nel teatro Tacon dell’Avana, e fu Oreste Ferrara, italiano cubanizzato, un orgoglio della Cuba repubblicana.
Camilli dipinge il “Garage Habana”, la sua seconda casa.
E’ nel XXI secolo quando un altro italiano si innamora di Cuba: il pittore Mario Camilli, nato a Montebelluna, Veneto, Italia. Non fissa la sua residenza nell’isola, però sì fissa la sua identità sentimentale. E’ un italiano di strada cubanizzato, parla come un avanero e la sua opera è intrisa della Cuba reale, la calpestata, quella che porta il peso della storia come croce. Da quando arrivò come turista iniziò ad aplatanando (diventare un nativo) in contatto con “l’altra Cuba”, quella delle calamità quotidiane e dei contrasti assurdi, quella del “forno rotto” ed del “vivere senza niente”, come la descrive in un poema del suo libro Garage Habana (2), l’Avana è la sua seconda casa.
In tutta l’opera di Mario Camilli c’è un tentativo di ricerca delle essenze attraverso il forte cromatismo e la sperimentazione figurativa, da ciò si evidenzia una vocazione per dare un senso alla bellezza dalla spiritualità e la preoccupazione umanistica plasmando un messaggio chiaro che allude alla libertà, la denuncia e la sofferenza esistenziale; per raggiungerlo si avvale di tecniche multiple: il pennello, l’aerografo, la grafica e la stampa digitale (3), come si può notare dai trattamenti che applica ai pannelli di legno. La composizione dei sui quadri contiene una espressività creativa ed originale che mette in risalto il paesaggio umano e vitale, esteriore-interiore, un realismo vissuto, così personalizza sentimenti e visioni. Lo fa quando dipinge il valore della santità, la percezione dei sensi (la sua nuova proposta estetica), e nel tema latino e cubano. Le sue opere su Cuba traducono fedelmente la tremenda vicenda del destino di un’isola, la fatalità dell’incertezza, se per questo si intende il vivere in una strana carcere del mondo. L’intervista con Camilli ci da una buona idea del perchè gli stranieri per secoli hanno sentito Cuba come propria, la dipingono e la cantano.

Camilli, chi sei in poche parole?
Sono semplicemente un artista in cammino verso l’aldilà, e cerco che questo cammino sia il più lungo e piacevole possibile. Non ho studiato nelle accademie, non appartengo a nessun circolo e non sono vincolato con gallerie. La sola cosa che mi importa è seguire il mio istinto, apprezzare i tramonti, guardare il prossimo, sorridere ed aspettare un sorriso di ritorno. In realtà ciò che mi interessa veramente sono le relazioni, alla fine quello che ci resta sono solo le relazioni.

Come hai scoperto Cuba? Cosa ti lega all’isola?
Nel 2.000 feci il mio primo viaggio lungo (non ero mai salito su un aereo) e scelsi Cuba come meta. Una destinazione ideale per me, un paradiso nei caraibi, i paesaggi, la musica, la gente, la storia. Inoltre pensavo che avrei dovuto affrettarmi ad andare nell’isola prima che tutto cambiasse. Quello che continuano a dire tutti qua in Italia: “Anch’io voglio andare a Cuba prima che tutto cambi, devo muovermi”, io gli rispondo sempre que non c’è bisogno di affrettarsi, il mare, la rumba, la salsa, le ragazze, le auto d’epoca li aspetteranno anche l’anno prossimo. In realtà queste sono le cose che gli interessano e che ricorderanno al loro rientro.
Per me è stato diverso, mi rimasero impressi nella mente i fiumi inquinati dell’Avana e non le acque cristalline delle isolette, i vecchietti ultranovantenni suonando (erano gli anni del Buena Vista Social Club e non si vedeva nessun musicista giovane, perchè i turisti volevano quelli del Buena Vista), gli occhi tristi delle ragazze e non le loro risa rumorose, rimasero impressi nella mia mente gli almendrones (4) facendo il fumo più nero che occhio umano abbia mai visto e non le nuove Chevrolet luccicanti. Ritornai con tanta tristezza nell’anima che dovetti ritornare per capire un poco di più.

Cuanto tempo hai vissuto nell’isola?
In realtà non ho vissuto nell’isola, dal 2.000 ritorno ogni anno, però sempre come turista, alcune volte con mia moglie o da solo (a lei non piacciono gli aerei), ci sono anni particolari come nel 2015-2016 che in 24 mesi ritornai otto volte. Però il mio interesse fu sempre oltre quello turistico, io volevo comprendere Cuba.
Parlami dell’arte cubana che hai visto. Hai conosciuto artisti?
Cuba è affascinante, i cubani sono affascinanti. Ogni cubano è un vero artista, sia musicista o artista nelle arti figurative, sono artisti in tutto per poter arrivare alla fine del mese con quello che gli spetta con la libreta (5), la razione di alimenti, inventano mille forme per vivere. Sono sicuro che no c’è un altro paese al mondo dove il cento per cento degli abitanti sono artisti. Ci sono molti artisti nelle arti figurative, alcuni con un vero talento e tecnica eccellente, pero non ho nessun amico che faccia l’artista di professione.
A differenza di altri artisti che visitano l’isola, alcuni tessono le lodi al sistema, il tuo caso è diverso, la tua opera riflette uno sguardo critico della realtà cubana.
Perchè hai assunto un’atteggiamento que potrebbe dirsi contestatario?
Quando arrivai per la prima volta a Cuba avevo un forte pregiudizio, pensavo che la isola fosse un paradiso, con un regime forte ovviamente, con la mancanza di alcune libertà senza dubbio, però un posto dove tutto funzionava bene, dove l’essenziale era garantito e dove tutti erano uguali. Un paese socialista che funzionava. Da giovane io credevo nell’utopia rivoluzionaria, non mi vergogno di questo, al contrario penso che chi a ventanni non è rivoluzionario non ha cuore, pero penso anche che chi a quarantanni continua ad esserlo non abbia cervello. Non capisco come milioni di turisti visitino Cuba e non modifichino la loro opinione su di essa, ancora meno comprendo tanti artisti ed intelletuali che la glorificano. Io non ho fatto niente di speciale, solo mi guardai intorno con gli occhi e con il cuore aperto. E non potei rimanere zitto, dovevo esprimere quello che sentivo e lo feci con la mia arte.
Cosa ti colpì di più della tua avventura cubana?
Senza dubbio la gente! I cubani, se stai un po’ attento nello scegliere gli amici e non sei tanto fesso da seguire quelli che ti si avvicinano per la strada. I cubani sono persone stupende. Quando sei in loro compagnia veramente ti sembra che nel mondo non ci sia un cielo tanto azzurro come quello di Cuba, e che non esista nessun’altra luna splendente come quella che si perde nella dolcezza della canna da zucchero (come dice la canzone). Le relazioni tra gli individui continuano a colpirmi, la tenerezza che hanno con i bambini e con gli anziani, la sincerità così trasparente delle loro parole, le bugie tanto chiare che quasi non si possono classificare come bugie.

L’esperienza cubana è importante nell’estetica della tua opera?
Io penso che un artista nelle sue opere esprima essenzialmente quello che è, anche ogni esperienza della sua vita apporta qualcosa alle sue creazioni. La miscela di spagnolo e africano che permea tutto a Cuba non può lasciare indifferente a nessuno. L’arte cubana con caratteristiche proprie è un frullato di sangue di conquistatori e schiavi neri, che sa anche di Europa, America Latina, Stati Uniti ed ha alcune gocce di arte sovietica. Perciò le mie inquietudini formali si arricchirono con l’esperienza cubana.

Le tue pitture “cubane” riflettono il contrasto tra la realtà ed il mito, direi che riesci a plasmare la Cuba reale con una sensibilità critica convincente.
Io dipingo quello che sento dentro, non mi prefiggo un obbiettivo specifico, non devo piacere a nessuno. Chiaro che quando un cubano (sia dentro o fuori dell’isola) mi dice che gli affascina la mia arte e che riesco a catturare l’essenza più profonda del suo paese, non ti nascondo che questo mi riempie di orgoglio. Non ho bisogno di vendere i miei quadri per vivere, quindi non mi interessa il giudizio ufficiale del Ministero della Cultura Cubano ne il giudizio dell’esilio ne delle ideologie. Io faccio quello che sento, io esprimo come posso quello che è Cuba per me.

Come è stata valutata la tua opera su Cuba in Italia?
Cuba è un mito. Ed i miti incantano nonostante tutto. Agli italiani Cuba piace sia come sia. E’ sufficiente che vedano la bandiera, una ballerina, un sigaro ed impazziscono. Mi dicono, guardando i miei quadri, quanto bella sia l’isola, che carismatico sia il Che e che grande uomo sia stato Fidel. A volte riescono a vedere una lode al regime nelle mie opere lasciandomi senza parole, al contrario, le mie opere esprimono una critica alla tirannia, così forte, così chiara, così semplice. In questo modo incomprensibile e diciamo neutrale si accoglie la mia opera in Italia, però è il punto di vista italiano.

Intervistatore: sorprendente, la tua arte riflette chiaramente il tipo di società che è Cuba con allusioni molto critiche al totalitarismo.
“Garage Habana” è il tuo libro con riflessioni sul castrismo, dati storici e “Volti dell’Avana” fotografati da Sara Bianchin. Qual’è il messaggio del libro?
Innanzitutto voglio chiarire che non mi sento uno scrittore e che probabilmente non pubblicherò altri libri. Feci il libro precisamente per spiegare con le parole quello che è Cuba per me. Lo feci semplicemente perché ero stanco di vedere libri su Cuba tutti uguali, con foto sature di colore, lodando un sistema che ha portato tanta sofferenza al suo popolo.

Come vedi il futuro di Cuba?
In quanto al futuro di Cuba, come dico nel libro, sono convinto che tra poco ci sarà una possibilità: la possibilità di correggere deformazioni e deviazioni introdotte da un dittatore personalista, egoista, megalomane e crudele. Sarà una possibilità preziosa, perché Cuba ha perso molti anni ed ha sofferto molto. Cuba non dovrà essere considerata una terra da conquistare e sfruttare, bensì un luogo per ricostruire una società. Solo così sarà possibile comprenderla veramente e ricevere i grandi tesori che la isola ha da offrirci.

Della tua attuale vita artistica e di viaggiatore mi puoi dire qualcosa? Hai qualche mostra in programma nella tua agenda?
Ho sempre dei viaggi programmati e quasi sempre riesco a fare una mostra delle mie opere dove vado. A volte porto pochi quadri, a volte faccio la mostra in luoghi che non hanno niente a che vedere con l’arte, non sono ne gallerie ne musei. Per esempio, in Giappone portai una sola opera e la esposi in tre hotel (Tokio-Kyoto e Osaka). A volte non posso fare troppa pubblicità e mostro le mie opere in casa di amici, come succede a Cuba e come mi è successo in Cina, dove era programmata una mostra in una galleria ed alla fine dovetti nascondermi in una piccola stanza con i miei quadri “sovversivi”, e non c’era niente di politica, ma solo immagini religiose. Nel 2018 mi piacerebbe fare qualcosa in Messico, un paese che conosco poco (sono stato una sola volta nello Yucatan). Penso che il Messico sia una fonte inesauribile di inspirazione per un artista. Ma voglio anche fare una grande mostra antologica nel mio paese, ho bisogno di riavvicinarmi alla mia città ed amare un po’ di più la terra dove sono nato, come si dice: chi non ama la propria patria, non ama la propria madre. E’ un’esigenza della mia arte, comprendere, amare.

Note

(1) Richard Rosello. Gli italiani a Cuba. Opera in via di pubblicazione, la fonte di informazione più completa sulla presenza italiana a Cuba.
(2) Mario Camilli. Garage Habana. Foto di Sara Bianchin. Stampato in Italia, 2014.
(3) Vedere come il pittore presenta la sua opera: http://www.mariocamilli.com/index.php/
(4) Almendrones: così si chiamano le vecchie auto statunitensi che circolano a Cuba, cimeli degli anni 50. Normalmente si utilizzano come taxi privati.
(5) Libreta: si riferisce al libretto di approvigionamento, il sistema che regola la distribuzione dei prodotti a Cuba dal 1963, con limitate quote di generi alimentari per ogni famiglia.
(6) Aplatanado (cubanismo): diventare un nativo.

Dedicato all’architetto italiano aplatanado (6) e amico Roberto Gottardi, creatore della Scuola Nazionale d’Arte (L’Avana 1965), assieme agli architetti Vittorio Garatti (italiano) e Riccardo Porro (cubano). E a Richard Rosello, il più entusiata investigatore delle orme italiane a Cuba.

di Antonio Ramos Zúñiga

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