L’inconscio di Dustin Hoffmann, “l’uomo della pioggia”

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Un saggio filosofico su alcuni aspetti del cinema

Può l’ermeneutica filosofica occuparsi anche di forme o generi di musica, rock e cinema, “arte figurativa” ? Certamente, direi, non tanto nel senso delle “small ideas” di cui parlava il sociologo Albert Otto Hirscham, o della “filosofia minima” di cui si ergono ad esponenti-simbolo gli odierni “pontefici minimi” della informazione ideologizzata di massa; piuttosto nell’accezione profondamente trascendentale del tempo, della durata interiore reale, delle categorie costitutive della esistenza, che alla nostra attenzione s’impongono. Siamo un poco sulle tracce dell’ “attimo”, platonicamente “assiso tra mobilità e quiete”, di cui restano esempi emblematici l’episodio della cicatrice di Ulisse nel XIX della Odissea; la “catarsi” tragica di Aristotele; il Climax e l’Anticlimax nello Shakespeare; il “momento culminante” nell’arte di Caravaggio; il sacrificio di Isacco in momenti e fasi dell’ Aut-Aut di Kierkegaard; la “epifania” in Joyce; le “intermittenze del cuore” in Proust; il “ritrarsi dell’anima” sull’urlo della via in Baudelaire; l’addio a lungo sospeso tra Bloom e Telemaco in Ulysses; l’abbraccio tra padre e figlio nel Giardino di Bassani; la carezza della madre in Noi credevamo di Anna Banti; la A-letheia in Heidegger e Montale; il concetto di “arcano teatrale” evidenziato nella Correspondance di Gustave Flaubert; l’ Aura in Walter Benjamin; il clic nella interpretazione della poesia sempre nuova per Mario Fubini, o dell’arte della fotografia secondo i vari teorici; lo spazio-tempo in architettura nelle sollecitazioni di Bruno Zevi; e nel cinema “arte figurativa” di Carlo Ludovico Ragghianti; il riconoscimento, in generale , del fatto che “in ogni grande artista e in ogni grande opera d’arte è contenuto alcunché di più profondo, di più vasto, di zampillante da scaturigini più nascoste, di quanto l’arte, nel suo significato puramente artistico, presenti; ma pure l’arte raccoglie questo alcunché , lo conduce alla manifestazione, lo rende avvertibile”, come scrive Georg Simmel ne Il conflitto della civiltà moderna ( 1924-25).
Sapeva, e insieme non sapeva, ad esempio, l’attore americano Dustin Hoffmann, della drammatica, persino tragica, storia della famiglia, perseguitata dalla Rivoluzione d’Ottobre, di ebrei ucraini, originari di Belaya Tserkov. La circostanza storica è stata svelata nella trasmissione americana Finding Your Roots, “Scoprendo le tue radici”, coordinata l’11 marzo 2016 da Henry Louis Gates jr .
Di Hoffmann, più che il celebrato e sessantottesco Il Laureato, preferiamo con decisione il Rain Man, “L’uomo della pioggia”, o il “Capitano uncino”, Hook, che intima il “Corretto Peter !” a Peter Pan – Robin Williams. Nell’inconscio, nel momento “archetipale” e profondo della psiche, cui risponde la drammaticità “rivelativa” dell’ “attimo”, quando Dustin Hoffmann – che nel viaggio ha accompagnato il fratello Tom Cruise sull’autostrada solcata dal chiaroscuro dei ponti ( grande, la musica di fondo!) capisce che è stato molti anni addietro, e per salvare il fratellino abbracciato al seno a seguito di un incidente domestico, che egli stesso è precipitato nella crisi dell’autismo; – in tutto ciò, dunque, è lecito reperire un’ancestrale, latente e pur parlante, traccia del dramma storico più vasto dell’esclusione persecutoria ( in questo caso, del gulag ). “Sapeva”, quindi; ma anche, “non sapeva”, l’interprete-attore del “mondo della vita”.
“Sincronicità” e “cura” nel grande cinema, come nell’ Uomo della pioggia; ma anche – direi – quando “Calvero ! Calvero !” esclama la ballerina salvata da Charlie Chaplin, ed avviata al successo, prima che l’attore-regista vada a finire nella grancassa della tragica pantomima finale, con l’impassibile “spalla” Buster Keaton, in Luci della ribalta; o “Scusate! Scusate!”, segno di riconoscimento della cameriera alla Gare Saint-Lazare di Parigi, nella Doppia vita di Veronica di Kriestof Kieslowskj e “Perché non sa voler bene!”, detto da Claudia Cardinale a Guido – Marcello Mastroianni – prima del carosello finale di 8 e mezzo di Fellini;o nei Risvegli di Penny Marshall, con Robert De Niro e Robin Williams, figura dello scienziato umanista e non “scientistico”; poi ancora A beatiful Mind di Ron Howard, con Russell Crowe nei panni di John Nash matematico Nobel del 1994, affetto da schizofrenia; e con l’archetipo dell’acqua nella Figlia di Ryan di David Lean o in Nostalghia di Andrej Tarkovskj.
Ma, per tornare dalla riflessione di venatura ‘junghiana’ alla storicità degli accadimenti che l’ha provocata, ripetutamente gli Hoffmann eran venuti via da Ucraina in Argentina e, di qui, negli Stati Uniti. Il primo fu il nonno, Frank, già in America, a Chicago, dalla natìa Belaya Tserkov, subito dopo la Rivoluzione d’ottobre del ’17 e il pogrom ripreso a danni degli ebrei ucraini, da parte di Lenin. Ma Frank, appreso dei massacri e delle persecuzioni, decide di tornare in patria per salvare i genitori, Sam ( bisnonno di Dustin Hoffmann ) e Libba ( la bisnonna intrepida nata il 1868 ). Intanto Frank ha già un figlio in America, Sam padre futuro di Dustin, il quale immagina nelle parole toccanti dell’intervista che il papà abbia detto, aggrappato alle gambe di suo padre: “Ti prego, papà, non andare” – ‘Povero papà’. Padre e figlio, nel 1920-21, sono uccisi dalla polizia CEKA. E la bisnonna, Libba, la “eroina”, che ha tentato di corrompere la polizia per salvare i suoi cari ( lo apprendiamo da un trafiletto di cronaca di quegli anni ), cinquantetreenne, viene a sua volta arrestata, picchiata, torturata, perde il braccio sinistro e diventa quasi cieca; ma nel 1930 riesce a fuggire dal gulag, s’imbarca per l’Argentina, poi a Ellis Island e arriva nell’Illinois, a Chicago (dove morirà nel 1944). “Orgoglio”, confida Dustin, “sopravvissuta perché io fossi qui”. Ecco, allora, il circuito della fuga da “Musica per lupi”: Ucraina – Argentina – Stati Uniti d’America ( una, due, tre, chissà quante volte). Distinto e forse distante, vi è l’altro circuito, additato da Papa Bergoglio: Argentina – Cuba castrista -accordo con Kirill il Patriarca ortodosso, ma escludendo la più sofferta Chiesa ucraina – e Cina e Corea del Sud, invitata a riaffratellarsi con la Corea del Nord. Sempre, don Luigi Sturzo soccorre alla mente, nelle ore della tragedia storica o personale, “Che Dio disperda la profezia !”

Giuseppe Brescia

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Giuseppe Brescia
Filosofo storico e critico, medaglia d'oro del MIUR, Premio Pannunzio 2013 e Cavaliere dell'Ordine al Merito della Repubblica,Componente dei Comitati per le Libertà, ha procurato di innestare storicismo epistemologia ed ermeneutica. Dopo la fase filologica('La Poetica di Aristotele','Croce inedito' del 1984 ),ha espresso un sistema in quattro parti: 'Antropologia come dialettica delle passioni e prospettiva', 'Epistemologia come logica dei modi categoriali', 'Cosmologia', 'Teoria della Tetrade', 1999-2002).Per Albatros ha pubblicato il commento alla lezione di Popper in'Maledetta proporzionale' (2009,2013);'Massa non massa.I quattro discorsi europei di Giovanni Malagodi'(2011);'Il vivente originario'(saggio sulla filosofia di Schelling, con prefazione di Franco Bosio, Milano 2013); 'Tempo e Idee. Sapienza dei secoli e reinterpretazioni', con prefazione di Bosio (2015).I temi del tempo e del 'mondo della vita' si intrecciano con le attualizzazioni del 'male', da '1994'.Critica della ragione sofistica (1997), 'Orwell e Hayek', 'Ipotesi su Pico'(2000 e 2002) sino al recente'I conti con il male.Ontologia e gnoseologia del male'(Bari 2015).E' Presidente della Libera Università 'G.B.Vico' di Andria

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