La sindrome di Pietro Verri

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Passano gli anni (anzi i secoli) ma tra gli uomini nulla cambia

L’illuminista milanese Pietro Verri subì un grave affronto da un suo carissimo amico. Lo scoprì durante il carteggio con il fratello Alessandro che da Parigi lo ragguagliava dei successi personali di Cesare Beccaria. Quest’ultimo non rivelò agli enciclopedisti  francesi che l’idea “Dei Delitti e delle pene” era di Pietro. Ampli stralci inediti  erano stati trasfusi nel testo del Beccaria. Una certa prudenza non era troppa visto che Verri era un funzionario pubblico dell’impero austriaco.
Cesare    si era impegnato di fa conoscere, in via riservata e morganatica, al  mondo scientifico  del tempo la verità, cioè di essere socio del trattato illuminista.  L’amicizia  tra i due si incrinò a tal punto che Pietro tolse il saluto per sempre a Cesare che nel frattempo si era trasformato in uomo di successo. La sua un’opera  venne tradotta  e diffusa in tutto il mondo anche nei secoli successivi. Pietro Verri invece , noto per un’infima Storia di Milano, fu scoperto dopo tanti anni dagli studiosi e valorizzato lo scorso secolo dal grande umanista e banchiere Raffaele Mattioli ( curando un’edizione  delle sue opere pubblicata dalla casa editrice Ricciardi).
Questa sindrome di Verri come un morbo  è continuata fino ai giorni nostri  e ha contaminato un mio lontano cugino.  C’è una legge della stampa degli anni 60 che assegna al  professionista  il diritto di scrivere. L’esclusività con l’editore lo consacra  raramente anche alla notorietà. Vero che ci sono eccezioni ma sono pochissime come alcuni professori universitari, ambasciatori di nota fama che da pubblicisti collaborano in maniera continuativa con le nostre maggiori testate nazionali. Il cugino pubblicista  è  molto caparbio.
Negli ultimi 20 anni  il rompiscatole ha inviato a molte redazioni fiumi di articoli. Pur avendo avuto la soddisfazione della pubblicazione per  testate  anche importanti, non ha ricevuto la gratificazione di avere un colloquio con un qualche direttore o capo redattore per una prospettiva di scrivere  in maniera continuativa.
Anni fa questo cugino ha avuto la fortuna di intervistare  una professoressa brasiliana su alcune  scritture rupestri risalenti a 60 mila anni fa. Con una ipotesi suggestiva  e nuova: Nel Neolitico  un gruppo di primitivi attraversarono l’oceano dall’Africa all’America del Sud. Uno scoop? Forse.  Il cugino ha impiegato mesi  per convincere  le redazioni nostrane  a destra e a manca. Tanti rifiuti .
Si era demoralizzato che il pezzo rimanesse inedito. Non teneva alla sua firma ma alla notizia che forse meritava divulgazione.  Poi il miracolo. Un quotidiano cattolico  gli ha pubblicato  l’articolo “Il primo americano era un nero”  poi ripreso da una trasmissione televisiva della Rai.
Quando uscì il suo pezzo sul quotidiano c’era solo la sua firma. Gli altri giornalisti avevano ritirato la loro per sciopero bianco della categoria . Mosca bianca , quasi crumiro ma free lance, figli di un dio minore. Non sapeva nulla dello sciopero dei chierici. Perciò condannato a non scrivere più per i prossimi secoli secondo i canoni episcopali  ma anche laici prescritti.  Questa è  dunque la sindrome di Pietro Verri.

di Filippo Senatore