La guerra “Quasi giusta” di Papa Francesco

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Cosa intende il Papa quando parla di “fermare l’aggressore?: ricorrere all’ONU. Ma questo non significa far solo qualche bella dichiarazione?

Il diavolo, dicono, si annida di solito nei dettagli. Ma qualche volta predilige una sola parola: nel caso di papa Francesco, si tratta di “fermare”. In una sua recente dichiarazione, di ritorno da una visita pastorale in Corea, Bergoglio ha pronunciato la frase che ha fatto immediatamente il giro del mondo: “E’ lecito fermare l’aggressore ingiusto”. Salvo specificare subito dopo: fermare non vuol dire fare la guerra, né bombardare, né lasciare che un solo paese (naturalmente l’America) si assuma il compito di giustiziere.
Che voleva dire il capo della Chiesa cattolica? Il suo è un ritorno al concetto agostiniano, e poi tommaseo, di “guerra giusta” contro l’ingiusta aggressione, purché essa sia sostenuta da un principe autorevole, diretta contro un colpevole certo, proporzionata all’offesa e sostenuta dalla retta intenzione di fare il bene? Purtroppo non è così, e forse nemmeno avrebbe potuto esserlo, da quando il Concilio Vaticano II ha definito ogni atto bellico come “delitto contro Dio”, sia pure compatibile con il “diritto a una legittima difesa”.
E allora torniamo a quella parola chiave di Bergoglio: “fermare”. Che significa secondo lui fermare l’aggressore ingiusto?
L’espressione è evidentemente ambigua, e si presta a una molteplicità di interpretazioni: quella ufficiale del Vaticano allude al ricorso all’Onu, ma naturalmente chi combatte sul campo al prezzo della propria vita (per primi i curdi che cercano disperatamente in Iraq di contrastare il totalitarismo islamista e genocida del Califfato), lo gira subito dalla sua parte, identificando in papa Francesco la “spada” della giustizia. Potremmo dal loro torto, come potremmo condannare gli ucraini che nel’est del loro Paese combattono e muoiono per liberare le loro città da mercenari, banditi, neocomunisti e mafiosi al soldo di Putin?
E allora occorre interpretare. Il Papa, con la sua dichiarazione, ha aperto, forse senza volerlo, il vaso di Pandora: che vuol dire fermare? Può significare un ricorso all’Onu, organismo notoriamente inerte, rappresentato da una quantità di regimi totalitari e autoritari – persino all’interno del suo stesso consiglio di sicurezza – nemici di ogni libertà compresa quella religiosa, al massimo in grado di avallare decisioni prese già da altri sul terreno? Non equivale, questa posizione, alla ipocrisia del non fare nulla, al quieta non movere, al sottrarsi di fatto al peso della responsabilità e della scelta?
Spiace dirlo, e Libertates non è certo schierata per partito preso contro Francesco: ma amicus Papa, magis amica veritas. L’ipocrisia di chi condanna la guerra e poi non fa nulla per la libertà e la giustizia – salvo distribuire parole, moniti e sorrisi – nasconde abilità e astuzia diplomatiche, volte a non compromettere la sorte dei cristiani nelle zone di guerra e di dittatura. Si basa certamente su una salda ideologia: ma il pacifismo a oltranza, pure con le rette intenzioni di chi lo professa, antepone i ragionamenti astratti e apodittici al confronto con la realtà, e alla reale compassione per chi soffre. Infine, confonde l’inviolabilità della vita umana, valore politicamente “non negoziabile”, con la sua idolatria, secondo la quale non sarebbe possibile metterla in gioco volontariamente per un ideale superiore (secondo l’esempio degli eroi, martiri e santi). In ultima analisi, il pacifismo ideologico è in conflitto persino col Vangelo: che altro è l’Apocalisse se non “monopolio legittimo della suprema violenza?”. Il Dio cristiano condanna l’ingiustizia e la violenza, ma non è accomodante, né pacifista.

Gaston Beuk

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Gaston Beuk
Gaston Beuk è lo pseudonimo di un noto giornalista e scrittore dalmata. Si definisce liberale in economia, conservatore nei valori, riformista nel metodo, democratico nei rapporti fra cittadino e politica, federalista nella concezione dello Stato e libertario dal punto di vista dei diritti individuali.

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