La guerra in Ucraina come scontro di civiltà

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La nostra Olena Ponomareva ci manda da Kiev un intervento in esclusiva sulla situazione in Ucraina

Un mio amico ucraino di Kiev è tornato dal fronte. Evhen Dykyj, 41 anni, e’ professore di biologia all’Accademia Mohyljana e attivista per i diritti umani, da due mesi combatteva come volontario al fianco delle truppe governative nella zona di Luhansk in Ucraina orientale. E’ stato ferito alla gamba e oltre a questo gli hanno diagnosticato il microinfarto del corpo muscolare miocardico. Evhen evita di parlare di quello che ha visto e vissuto, dice soltanto che la cosa peggiore è che l’avversario non rispetta alcuna regola, nessun accordo preliminarmente raggiunto: “sembra che oltre alle vite umane ‘loro’ vogliano annientare anche la nostra dignità”. Ricorda il drammatico tentativo degli ucraini di rompere l’accerchiamento vicino alla cittadina di Ilovaisk: alcuni battaglioni sono rimasti circondati dopo che, a partire dalla metà di agosto, il territorio ucraino fu invaso dall’esercito regolare russo ‘chiamato’ per soccorrere i separatisti all’est del Paese. Ci sono stati accordi raggiunti ai massimi livelli tra l’Ucraina e la Russia per fare uscire i soldati ucraini dall’accerchiamento operativo attraverso un corridoio appositamente creato: il compito dei soldati ucraini era di svolgere un’operazione anti-terroristica contro i ribelli filorussi e non di combattere gli elementi regolari dell’esercito russo che senza alcuna dichiarazione di guerra ha aggedito il territorio ucraino. L’impegno di rilasciare il contingente ucraino fu confermato a Minsk nel corso dei colloqui del gruppo di contatto tra l’Osce, Kiev, Mosca e i rappresentanti dei ribelli. Però al momento dello svolgimento dell’operazione l’itinerario del passaggio dei soldati ucraini è stato improvvisamente cambiato, a centinaia sono stati fucilati e circa mille militari sono stati catturati dai russi. E’ stata proprio la battaglia di Ilovaisk a mettere in evidenza la massiccia presenza delle truppe russe sul territorio ucraino. In tre mesi le truppe governative ucraine hanno liberato circa due terzi del territorio finito nei mani dei ribelli, ma dopo l’intervento dell’esercito russo la superiorità numerica di uomini e di mezzi dell’avversario constrinse gli ucraini alla ritirata. Il numero totale dei militari ucraini morti dall’inzio dei combattimenti nell’aprile scorso si avvicina ai tre mila, senza contare pero’ le vittime di Ilovaisk, il numero esatto delle quali non si sa ancora. Si presume che perdite tra i separatisti russi (tra cui numerosi cittadini russi) e tra i soldati dell’esercito russo siano ancora più gravi. Ma visto che il Cremlino, nonostante le prove materiali piu’ che evidenti, continua a negare la sua implicazione nel conflitto in Ucraina, si possono fare soltanto dei conteggi ‘indiretti’, in particolare attraverso le testimonianze del Comitato di madri dei soldati della Russia. La sua portavoce Valentina Melnikova sostiene che in Ucraina agiscano truppe russe, con 10-15 mila soldati inviati negli ultimi due mesi, e circa 7-8 mila presenti attualmente. Le bare con i morti continuano ad arrivare a migliaia, i soldati russi vengono seppelliti senza placche commemorative, i cimiteri sono sorvegliati e i giornalisti occidentali che vogliono indagare sulla vicenda e contattare i famigliari dei soldati russi morti in Ucraina vengono minacciati e picchiati da ‘sconosciuti’.
Sembra una fantasmagoria: c’è l’aggressione, ma l’aggressore è come non ci fosse. C’è la guerra, ma non c’e stato di guerra in Ucraina perche’ per un paese ufficialmente in stato di guerra le trattative con l’Ue e con altri partner occidentali diventano ancora più problematiche e, inoltre, verrebbero impediti i finanziamenti del Fmi, vitali per l’economia ucraina. Eppure bisogna dare qualche nome a questo conflitto che ha già portato decine di migliaia di morti tra militari e civili e centinaia di migliaia di profughi, secondo le stime dell’ONU. Prima che l’aggressione della Russia contro l’Ucraina diventasse aperta, gli esperti della NATO parlavano di una guerra ‘ibrida’ o ‘asimetrica’. Ci saranno sicuramente altre definizioni, magari più precise, ma già oggi ci si rende conto di come si tratti sostanzialmente dello scontro di valori e di civiltà teorizzato due decenni fa da Samuel Huntington. Il valore principale è quello della vita umana, della dignità e della libertà. I parà russi ritrovatisi “per caso” (secondo le spiegazioni ufficiali del comando russo) sul territorio ucraino a 25 chilometri dal confine, furono rilasciati dalle autorità ucraine e dopo pochi giorni sono stati rimpatriati. I russi invece catturano i militari ucraini e altre le figure ‘di spicco’ (tra cui scrittori, registi, attivisti per i diritti umani) per portarli in Russia e fare dei processi giudiziari ‘esemplari’. Il caso piu’ clamoroso è quello della pilotessa Nadia Savcenko rapita dai separatisti sul territorio ucraino, passata ai russi e processata in Russia. Senza poter condannarla per assenze delle prove del reato (fu accusata dell’uccisione dei giornalisti russi nella zona dei combattimenti in Ucraina avvenuta, guarda caso, dopo la cattura della pilotessa), i giudici l’hanno reclusa in un ospedale psichiatrico per una perizia coatta: per due mesi la donna non potrà avere nessun contatto con l’esterno, neppure con i famigliari nè col suo avvocato (Mark Feighin, lo stesso che ha difeso anche le cantanti del gruppo Pussy Riot). In Ucraina è partita la campagna “SaveOurGirl” per la liberazione di Nadia, ma il governo di Kiev non ha nessuna possibilità di rimpatriare la cittadina ucraina per il semplice motivo che nel caso della Russia i meccanismi legali non funzionano.
Quanche giorno fa il giornale The New York Time ha pubblicato la foto di un’altra donna ucraina punita “esemplarmente” dai separatisti filorussi perché sospettata di aiutare i soldati governativi nella zona dei combattimenti. Catturata e torturata dai separatisti, è stata messa alla gogna, non in senso metaforico, ma letteralmente (vedi la foto): avvolta nella bandiera ucraina e legata al palo al centro della citta di Donetsk con la scritta “lei uccide i nosti figli” dove ogni passante poteva insultarla, sputarle addosso e picchiarla. Liberata grazie all’intervento dei giornalisti occidentali, Iryna Dovhan, racconta in un’intervista che quando era alla gogna pensava se sarebbe stata trattata nello stesso modo se fosse stata catturata a Leopoli con il sospetto di aiutare i separatisti russi. “Non sarebbe mai stato possibile, la loro educazione e i loro valori sono diversi. Le persone nella regione di Donbas hanno orizzonti molto limitati perché le fonti d’informazione sono poche e la gente viene facilmente manipolata. Loro hanno semplicemente creduto alla propaganda russa”.
La propaganda russa, ‘forte’ di tradizioni ed esperienze sovietiche è presente anche nei paesi occidentali, Italia non esclusa. Accanto ai giornalisti onesti e obiettivi che seguivano con professionalità gli sviluppi della crisi ucraina, ci sono altri ‘esperti’ che ripetono alla lettera le tesi propagandistiche delle fonti russe. Il problema è che non sono opinions, i punti di vista critici e argomentati, ma menzogne e propaganda per manipolare l’opinione pubblica italiana. Basti ricordare le spaventose storie sui ‘fascisti’ di Maidan che chissà per quale motivo occulto rischiavano la vita per diffendere i valori europei. Il paradosso è che l’offensiva della propaganda russa diventa sempre più arrogante nonostante che venga continuamente smascherata dalla realtà dei fatti. I fatti che non sempre e/o con molto ritardo raggiungono lo spazio mediatico italiano.
L’antidoto all’aggressivita’ della propaganda è il pensiero critico degli italiani. L’Italia dovrebbe diversificare non soltanto le sue fonti energetiche, ma anche le fonti d’informazione (magari la Rai come televisione pubblica per la quale pagano i contribuenti fosse in grado di inviare un corrisponedente in qualche paese dell’Europa Centrale, non dico in Ucraina, ma almeno in Polonia!), nonché di apprendere un po’ di più sui paesi europei post-totalitari e post-coloniali dell’Est Europa prima di dare valutazioni dei complessi eventi che vi avvengono.
L’alternativa è il rischio reale di ridursi allo stato spirituale di un’Oceania “a la Orwell” dove “l’ignoranza è forza” perché la menzogna diventa verità e passa alla storia.

Olena Ponomareva

Sull'Autore

Olena Ponomareva, docente di ucrainistica presso il Dipartimento di Studi Europei, Americani e Interculturali, Università “La Sapienza” di Roma. Studia le problematiche di trasformazioni politiche e socioculturali delle società posttotalitarie dell’Est Europa.

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