La farsa del Nobel, tra femminismo vittimista e populismo snobistico

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Che pensare delle vicende del Nobel per la letteratura?

Dunque il Premio Nobel per la Letteratura 2018 non verrà assegnato. Lo sarà l’anno prossimo insieme a quello del 2019. Lo ha deciso l’Accademia svedese a seguito degli scandali sessuali che hanno coinvolto il fotografo Jean-Claude Arnault che, oltre a gestire un progetto culturale finanziato dalla stessa Accademia, è il consorte dell’ex giurata Katarina Frostenson, ora rimossa.
Sono diciotto le donne che hanno denunciato nel novembre scorso Arnault per «molestie sessuali».E fra queste figura niente po’ po’ di meno che la stessa regina ereditaria Victoria di Svezia, che, stando a una sua assistente che l’avrebbe soccorsa, sarebbe stata vittima di insistenti «palpeggiamenti».
Ora, fatto salvo che nessuno dovrebbe ritenersi legittimato a importunare una donna né sessualmente né verbalmente – a maggior ragione un fotografo a cui deontologia professionale e senso etico impongono discrezione assoluta – la domanda che sorge naturale è: quale nesso logico esiste fra un singolo depravato e la costellazione di autori che, almeno per un anno, dovranno pagare il fio delle sue incandescenze sessuali? Sarebbe come se, a fronte di un caso di conclamata pedofilia in ambito ecclesiastico, venisse bandita la vendita e promozione del Nuovo Testamento nelle librerie del mondo. O come se, per assurdo, qualora un dichiarato marxista-leninista di San Pietroburgo violentasse la propria segretaria, venissero ritirate dal mercato tutte le copie del Capitale.
È chiaro pertanto che siamo di fronte a un caso che – diremmo, ancora una volta – pone l’Accademia di Svezia sotto un luce quanto meno equivoca. Delle due l’una, infatti: o la retorica di un certo «femminismo della rivalsa» ha davvero superato gli argini – trasformando una sacrosanta battaglia di dignità in una sorta di vittimismo d’antan–oppure l’Accademia svedese non sa più cosa inventarsi per accordarsi alle logiche della società dello spettacolo e delle sue ridicole ansie sensazionalistiche. E dopo aver sorprendentemente –eufemismo – premiato Bob Dylan e candidato Roberto Vecchioni, gioca ora la carta del più becero populismo snobistico.
Non solo: nel penalizzare autori in età molto avanzata che il Nobel l’avrebbero meritato da molti anni – non sia mai che scrittori come Philip Roth, Ismail Kadaré, Milan Kundera o Don De Lillo decedano proprio in questo beffardo 2018 – ha di fatto flirtato macabramente con il tempo, lasciandoci credere che i suoi responsi siano eterni quando l’età biologica di questi giganti non lo è affatto.
È vero, la storia del Premio Nobel è densa di lati oscuri e di scelte sconsiderate. Dalla non assegnazione a Jorge Luis Borges e a decine di altri autori di primissima grandezza all’assegnazione controversa – altro eufemismo – a scrittori di livello e consistenza letteraria più che dubbia – dall’ultimo Kazuo Ishiguro a Dario Fo a quella remota Grazia Deledda che nessuno legge più – non si contano gli «svarioni» dell’Accademia di Stoccolma.
Ma qui siamo per la prima volta di fronte a un caso che non ha nemmeno più attinenza con la mera questione del valore letterario: qui siamo di fronte a un fotografo che con la letteratura, di fatto, non c’entra nulla. Tanto che verrebbe da temere, a questo punto, i comportamenti dei maggiordomi dell’Accademia: non sia mai che uno di loro, o un ausiliario delle cucine, facesse un giorno la manomorta a una cuoca. Rischieremmo di vedere Murakami precipitarsi in farmacia per verificare la pressione, il colesterolo e lo stato della cistifellea.
Allora è evidente che, a fronte di un così clamoroso dissesto delle logiche di assegnazione del Nobel, l’unica cosa che si può sperare è che un consesso di scrittori di livello internazionale – fra cui, perché no, anche recenti incoronati – firmi una petizione per l’annullamento della decisione, esortando l’Accademia a ritornare sulla propria scelta. Forse, per una volta, capiremmo che la letteratura ha più voce in capitolo delle estemporanee esaltazioni sessuali di un fotografo in foia. E magari torneremmo a leggere la letteratura per quel che significa al di là del contingente e delle piccole beghe che attraversano, senza lasciti, la contemporaneità.

di Marco Alloni
(per Libertates e Il Corriere del Ticino)

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