In Tunisia bisogna agire subito

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La situazione in Tunisia, unico Paese del Maghreb in cui democrazia e libertà hanno un senso e un valore è sempre più sull’orlo della crisi.
Dal nostro “inviato” a Tunisi

Lo scorso lunedì nel porto di Mahadia il Rappresentante locale dell’Unione Tunisina dell’Agricoltura e della Pesca, Sayed Arjoun, ha convocato una conferenza stampa annunciando che nelle regioni del sud della Tunisia si va sempre più concretando l’ipotesi di una migrazione di massa verso l’Italia dei pescherecci locali. Ieri sono continuate manifestazioni di protesta in tutti i porti principali del sud della Tunisia. Questa mattina a Sfax, rappresentanti della pesca d’altura tunisina hanno organizzato una manifestazione di protesta sollecitando le autorità governative a intervenire sulla defiscalizzazione dell’IVA (TVA in Tunisia) sul gasolio per la pesca. E’ l’ennesimo tentativo di sbloccare una situazione che di ora in ora si fa sempre più drammatica. Le rivendicazioni di più di quattrocentomila operatori del settore della pesca sono rimaste inascoltate dal governo e da più di un mese i pescherecci sono rimasti in porto come azione di protesta.
Le ragioni dell’annunciata migrazione, che potrebbe coinvolgere più di un migliaio di nuclei familiari di marittimi tunisini, sono da ricercare nel malessere quotidiano che si va sempre più intensificando nelle aree rurali interne. Una flottiglia di pescherecci, cui da ieri si sono aggiunti anche i pescherecci di altura di Sfax, al completo delle famiglie, vuole emigrare in massa verso Mazzara del Vallo, sia perché le condizioni di vita e quelle economiche in Tunisia non sono più sostenibili, ma anche perché Mazzara, oltre la vicinanza dalla Tunisia, offre una comunità di più di tremila famiglie tunisine che già hanno dato la loro disponibilità ad ospitarli in Italia.
La Tunisia del dopo rivoluzione di oggi, sta vivendo il suo massimo di incertezza e di insicurezza interna. Oltre all’ISIS in Libia, che rappresenta una costante minaccia anche per i bravi pescatori tunisini e, quindi, motivo in più per cui da tempo nessuno esce più per mare, non sono da sottovalutare le condizioni di povertà e miseria chi si sono venute a creare in molte aree del sud che non ne avevano mai avuto sentore in passato. L’attentato jihadista di Sousse dello scorso anno, che provocò la morte di 38 vittime europee, è la causa principale del forte depauperamento dell’intero settore turistico, fonte principale di reddito dell’intero indotto del sud della Tunisia. Andare a Sousse oggi, significa prendere conoscenza dell’esistenza di una città “fantasma” dove al posto delle sfolgoranti luci degli alberghi e dei ritrovi turistici che sino all’anno scorso erano l’emblema del quieto vivere di quelle zone, oggi è subentrato il buio più totale e il silenzio di una città senza più clienti, abbandonata al suo destino nella speranza che un giorno si possa tornare alle antiche tradizioni. Se questa è la situazione alberghiera, l’indotto che da Sousse, Monastir, Mahadia, Sfax, Jerba, l’interno del Sahara tunisino con Gafsa, Douze, Tozeur, Tamerza, Mednine, sino ad arrivare al porticciolo di Zarzis, prima del confine con la Libia, sta sempre più avviandosi verso una condizione di abbandono assoluto che ha dell’incredibile.
A tutto questo si è aggiunta la particolare crisi con la Libia. Da più di due mesi, infatti, il posto di frontiera con la Libia di Ben Garden è stato (giustamente) rinforzato e chiuso anche al traffico commerciale. Il ché ha significato per l’intero settore dell’agricoltura e in particolare della pesca, l’impossibilità di poter continuare a vivere (o meglio a sopravvivere) con il commercio del contrabbando, in particolare quello del gasolio e benzina di provenienza libica. Non è un fatto da sottovalutare! Le proteste di una ventina di giorni fa della popolazione di Ghasserine e di Thala, due centri urbani di una certa importanza, che, anche loro, sino a un mese fa vivevano di quasi solo contrabbando, ne sono un’eccellente testimonianza! Nelle “rivolte” verificatesi, un gruppo si “barbuti” islamisti si è presentato con le famiglie al seguito al posto di polizia di Ghasserine ed ha preteso la restituzione di tutto il materiale di contrabbando sequestrato dall’esercito giorni addietro durante un’operazione antiterrorismo. Comportamento delle istituzioni certamente umano, ma difficilmente concepibile in uno stato di diritto!
Queste situazioni potrebbero, tra l’altro, incrementare le possibilità di sfondamento in Tunisia dell’ISIS dalla Libia, grazie anche al supposto substrato culturale pro Jihad professato dall’Islam radicale che si va generando nelle fasce più povere ed esposte del popolo tunisino. In contropartita è da tener bene a mente che tra le file dell’ISIS in Libia si contano più di tremila Jihadisti tunisini, che, certamente, hanno anche tanta voglia di “tornare a casa” realizzando il sogno per cui hanno sposato la jihad qualche anno fa per l’affermazione dello Stato Islamico in Tunisia.
Tutto questo è successo, oltre alle serie crisi endogene del sistema economico tunisino più volte duramente colpito negli ultimi due anni, anche perché l’Unione Europea non ha mai voluto prendere seria conoscenza del divario culturale che esiste tra l’Occidente e il mondo islamico, di cui la Tunisia ne è, al momento, l’unico tentativo di democrazia in cui si continua a sperare.
Se, infatti, si fosse intervenuto in tempo (per esempio con aiuti economici quali quelli che l’Unione Europea ben sperimentò a suo tempo, per l’agricoltura e la pesca, per sedare le guerre interne alla stessa UE: del pesce, del latte o del vino, per evitare lo sbocco alla clandestinità e al contrabbando per molta gente dell’entroterra tunisino e delle zone di confine, sicuramente la chiusura di Ben Gharden non sarebbe stata fonte di ulteriore instabilità e oggi l’Italia non sarebbe minacciata da altre nostrane migrazioni di massa.
Non rimane altro, dunque, che sperare di aprirsi alle problematiche tunisine con il più ampio strumento del Dialogo Interculturale a livello Europeo.

Fabio Ghia

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