Grecia, un’ideologia rosso-bruna

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Cosa nascondono i programmi della sinistra di Tsipras e della destra di Kammenos?

E se il menu greco servito all’Unione Europea fosse soltanto uno stuzzichino? Se, dopo il pasticcio ateniese a base di carne, melanzane e mozzarella, stesse per uscire dalle cucine di Syriza, e del suo alleato destrorso, una bella sastolje alla russa, con aringhe, patate uova e barbabietole, da innaffiare con la vodka?
Per dirlo fuori di metafora gastronomica: e se, al di là dello psicodramma recitato in Europa, la strana coppia ateniese al potere (il rosso Alexis Tsipras e il bruno Panos Kammenos, suo ministro della Difesa), custodisse un piano geostrategico capace di giocare in futuro un brutto scherzo alla Ue, regalando invece un assist prezioso a Mosca?
I due strani colleghi Alexis e Panos hanno davvero qualcosa in comune che va oltre la ribellione alla troika europea, e annulla le apparenti contrapposizioni ideologiche secondo le quali dovrebbero collocarsi su versanti opposti. Il loro carburante ideologico è pericolosamente simile a quello rosso-bruno che, dalla Russia alla Serbia, ha mandato in soffitta la vecchia geografia politica nata dalla Rivoluzione Francese.
Le premesse si erano intraviste fin dal primo momento della campagna elettorale politica che ha condotto al potere Syriza e i Greci Indipendenti. Il sospetto è di un gioco delle parti, in cui uno degli alleati proclama a chiare lettere le sue intenzioni, mentre l’altro le sfuma, fino a creare un cocktail ideologico che sembra piacere ad entrambi gli elettorati.
Se infatti si scorre il programma di Alexis Tsipras, articolato in 40 punti, è normale convincersi di avere a che fare con una variante di populismo socialisteggiante alla sudamericana (sovvenzioni diffuse agli strati sociali più poveri, nazionalizzazioni a partire dalle banche, tasse pesanti su imprese e finanza, tosatura dei grandi patrimoni, limitazioni alle attività della chiesa, riduzioni delle garanzie ai parlamentari, disarmo dei corpi speciali dell’esercito e della polizia e persino moda descamisada con abolizione della cravatta e camicia da esibire rigorosamente fuori dai pantaloni). Ma è soltanto negli articoli finali, là dove gli sguardi di solito si posano distratti, che fa discretamente capolino la sastolje alla russa. Articolo 37: “Ritiro dall’Afghanistan e dai Balcani, nessun soldato greco al di fuori dei confini”. Articolo 38: “Abolizione della cooperazione militare con Israele. Supporto alla creazione di uno Stato palestinese entro i confini del 1967”. E, traditore come un bicchiere russo della staffa, arriva alle fine l’articolo 40: “Chiusura di tutte le basi straniere e ritiro dalla Nato”.
Ora, seriamente parlando, quest’ultimo punto dovrebbe comportare la chiusura della base che si trova nell’isola di Creta, alla Baia di Suda, una tra le più importanti della Nato sul piano strategico e militare. All’interno del suo perimetro opera anche l’impianto aereo della U.S. Navy, tutt’ora impegnata nel far rispettare la no-fly zone dell’Onu sulla Libia. A nord della Baia c’è un’altra struttura militare: il poligono missilistico Namfi (Nato missile firing installation), usato dai paesi della Nato per testare i sistemi di difesa, soprattutto i Patriot e gli Hawk. Il buco vistoso nella maglia protettiva dell’Occidente si tradurrebbe in un assist prezioso per la Russia di Putin.
Ma se confrontiamo il programma appena visto con quello dei Greci Indipendenti, soci di minoranza della coalizione rosso-bruna, però decisivi per la sua tenuta parlamentare, scopriamo che tutte differenze, a prima vista insanabili, sono invece perfettamente compatibili. Per cominciare, il ministro della Difesa Kammenos è trincerato su posizioni duramente antiturche, e ha già fatto capire che cosa pensi delle relazioni con Ankara, facendosi un giro provocatorio in elicottero fino alle isole disabitate vicine alla costa turca, le stesse che indussero i due paesi a sfiorare il conflitto armato nel 1996. A questo riguardo il programma di Tsipras – in un altro punto lasciato volutamente nel vago, il numero 39 – prevede la “negoziazione di un accordo stabile con la Turchia”, senza specificare con quali mezzi esso debba essere raggiunto. Ma è chiaro che un Kammenos alla Difesa non lascia presagire niente di buono per il futuro dell’Alleanza Atlantica nel settore sud-orientale.
Riguardo all’Europa, comprensibilmente, la linea è duramente germanofoba. Tsipras dipinge la Germania come il cane da guardia delle politiche liberiste “criminali” (il suo ex ministro Yanis Varoufakis aveva paragonato la troika europea alla Cia “che tortura le sue vittime con il waterboarding”). Kammenos invece predilige immagini più evocative della tragica occupazione nazista, mescolandole con audaci teorie cospiratorie; una di queste considera i gas di scarico dei jet in volo sopra la Grecia come un piano germanico tendente a “narcotizzare” e rendere passivi gli onesti cittadini ellenici.
Gioco delle parti simile a proposito di Israele e degli ebrei. Da un lato Tsipras si propone, come abbiano visto, di porre fine alla cooperazione militare con Israele (e qui tiene conto del fatto che alcuni militanti di Syriza fossero imbarcati sulla “Freedom Flotilla” che nel 2010 aveva cercato di rompere l’embargo israeliano attorno a Gaza, scontrandosi tra morti e feriti con le forze speciali di Tel Aviv al momento dell’abbordaggio). Dall’altra, Kammenos preferisce indulgere a toni da antisemitismo classico, fino a spingersi nel dicembre scorso, durante una controversa apparizione televisiva, ad accusare gli ebrei greci di “non pagare le tasse”. A quell’episodio è seguita una ritrattazione, accompagnata da controaccuse di “bugie e scandalismo”, ma intanto la vicenda è suonata come musica alle orecchie dei numerosi simpatizzanti di Alba Dorata, ufficialmente avversari di Kammenos ma impegnati sullo stesso terreno ultranazionalista.
Sul piano economico, le pulsioni della coalizione rosso-bruna appaiono più vicine che mai, salvo che nel linguaggio: anticapitalisti e contrari all’integrazione europea, i Greci Indipendenti evitano però accuratamente termini come “nazionalizzazione”, preferendo parlare di “giustizia sociale”, lotta ai paradisi fiscali e ripristino del welfare state.
Fin qui la strana coppia può anche apparire anomala, però ancora compatibile con lo stile estroso di una certa Europa mediterranea. Fisicamente i due sono all’opposto (Tsipras, con la sua aria descamisada, fa molto bon ton alternativo, mentre Panos Kammenos, gigantesco e pingue come un democristiano bavarese, appare di solito impeccabile in gessato e cravatta).
Se si fruga nella sua biografia, però, il ritratto di Kammenos non appare più tanto “borghese”. Anche lui appartenente alla generazione dei rottamatori quarantenni – benché abbia nove anni più dell’amico Tsipras – ha cominciato la sua carriera politica fra i giovani di Nuova Democrazia, allora noti per i loro atteggiamenti aggressivamente “macisti”. Le loro organizzazioni si chiamavano “Rangers” e “Centauri”: molto più radicali della linea ufficiale del partito, non paragonabili alle squadre fasciste ma certo inclini a scontrarsi fisicamente, all’occorrenza, con i coetanei di sinistra. Uscito da Nuova Democrazia in segno di rifiuto della sua politica di austerità, e fondato il partito dei Greci Indipendenti, Kammenos ha preso molto sul serio la sfida delle nuove tecnologie, arrivando a reclutare al’ultimo momento i candidati del partito per le elezioni europee attraverso una sua pagina personale di Facebook, in cui si è appellato a chiunque, anche al di fuori della Grecia, potesse vantare “studi europei”, con una preferenza però accordata ai “disoccupati”. Il suo appello ai “foreign fighter” in quella occasione si concludeva così: “Il movimento coprirà tutte le vostre spese, noi vi chiediamo soltanto il vostro spirito e la vostra determinazione” e come firma campeggiava lo slogan: “Siamo tanti, siamo indipendenti, siamo greci”.
Spirito battagliero, dunque, il dottor Kammenos; e non si è certo lasciato scoraggiare allorché i suoi avversari interni hanno incominciato ad accusarlo di voler “castrare” tutti quelli che non si allineavano alle sue direttive. Di fronte alla prospettiva delle loro dimissioni dal partito ha reagito con frasi del tipo: “ogni apostasia prova la paura che ispiriamo negli avversari”.
Ma è giusto mettere sotto la lente d’ingrandimento soprattutto i suoi rapporti con la Russia. Non molto tempo fa si sono ritrovati a Yalta (scelta geografica certo non casuale) i soci di un club europeo filo-putiniano, dal nome altisonante: Associazione internazionale dei Fondi per la Pace, Intorno al tavolo, personaggi politicamente variopinti come il parlamentare della Duma russa, ed ex campione mondiale di scacchi, Karpov, ma anche nostalgici dell’Unione Sovietica, neonazisti ungheresi, qualche italiano e, discretamente fra le quinte, alcuni rappresentanti di Syriza. Scopo della riunione: affermare che il vero nemico comune dell’Europa non è certo la Russia, antemurale della cristianità nella guerra contro l’islamismo, e soprattutto pronta ad aprire i cordoni della borsa agli amici .
E Kammenos che ne pensa? Poco prima della riunione di Yalta, si è esibito in un grande affresco geopolitico, naturalmente filorusso, davanti agli attoniti soci tedeschi dell’Istituto Schiller. Una volta esaurito l’attacco rituale al “dominio del capitalismo finanziario”, Kammenos ha annunciato la riapertura della millenaria Via della Seta, capace di restituire alla Grecia una influenza planetaria paragonabile a quella esercitata in epoca classica dalla Atene di Pericle. Più precisamente, ha affermato, è alle porte la nascita di una gigantesca nuova rete commerciale destinata a collegare la penisola balcanica al Mar Baltico, verso nord, alla Russia e al subcontinente indiano verso est, ai paesi del Mediterraneo e all’Africa verso sud. Sullo sfondo, naturalmente, la Cina: “chi la conosce sa che la Grecia già riveste un ruolo preponderante nello spazio di quel paese gigantesco, non solo per ragioni storiche e culturali, ma anche economiche, dal momento che Atene detiene una posizione strategica nei trasporti marittimi verso la penisola arabica e l’Africa del nord”. E, tanto per precisare che questo titanico progetto non è da intendersi in senso utopistico e letterario, ha fatto presente che il nuovo ombelico del mondo, il porto ateniese del Pireo, dopo la concessione trentennale di una stazione dei container al gruppo cinese Cosco, si appresta a ricevere da Pechino un investimento da 230 milioni di euro. Se la Ue e gli Stati Uniti non dovessero ascoltarci, ha chiarito Kammenos, il Grande Fratello russo sarà pronto a tenderci una mano. La secolare affinità linguistica (almeno nell’alfabeto) e religiosa (ortodossa) potrebbero funzionare come ciliege sulla torta del nuovo matrimonio.
Un’altra prova dell’affinità elettiva fra la coppia rosso-bruna di Atene e il regime di Mosca viene da un matrimonio, non in senso figurato. La faccenda risale all’ottobre dell’anno scorso ed è in parte avvalorata da una fonte politicamente significativa, il funzionario di Syriza Dimitris Kostantinopulos. Secondo una sua ricostruzione, l’entusiasmo di Panos Kammenos per la creazione di una “collaborazione tattica” con Syriza sarebbe scoppiato al termine di un suo misterioso viaggio in Russia “per ragioni private”. E di che cosa si sarebbe trattato? Di una festa da matrimonio, al quale ha partecipato una delegazione greca composta da ben 89 membri.
Chi poteva mai essere il misterioso mecenate amico? Nessun altro se non l’oligarca russo Konstantin Malofeev in persona, un magnate incluso nella lista nera delle sanzioni Ue, e per questo impossibilitato a partecipare al matrimonio in Grecia, dove la cerimonia era stata inizialmente programmata. Ma pronto ad assumersi le spese per trasferire la festa in un lussuoso resort vicino a Mosca (pare si trattasse dello Tsargrad VIP, di sua proprietà). Malefeev ha pagato di tasca propria la compagnia ellenica fatta di politici, avvocati, uomini d’affari, intellettuali: non mancava neppure un’orchestra al completo perfettamente equipaggiata. Al centro della delegazione spiccava, elegante e allegro come non mai, proprio Panos Kammenos. Fra un brindisi e un ballo sotto le luci dello Tsargrad, pare si sia consolidata, oltre all’amicizia, l’alleanza fra Atene e Mosca. L’aspetto più inquietante della vicenda riguarda il passato prossimo di Malofeev, segnalato a suo tempo prima nella Ucraina orientale, e poi in Crimea, in veste di organizzatore e munifico finanziatore della imminente secessione dall’Ucraina.
Ce n’è abbastanza, insomma, per gettare una luce inquietante sul futur, e sulle intenzioni della coalizione rosso-bruna alla greca. Meglio capire in fretta con chi si ha a che fare, e prendere per tempo le contromisure.

Dario Fertilio

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Dario Fertilio
Dario Fertilio (1949) discende da una famiglia di origine dalmata e vive a Milano. Giornalista e scrittore, presiede l'associazione Libertates che afferma i valori della democrazia liberale e i diritti umani. Estraneo a ogni forma di consorteria intellettuale e di pensiero politicamente corretto, sperimenta diverse forme espressive alternando articoli su vari giornali, narrativa e saggistica. Tra i suoi libri più noti, la raccolta di racconti "La morte rossa", il saggio "Le notizie del diavolo" e il romanzo storico "L'ultima notte dei Fratelli Cervi", vincitore del Premio Acqui Storia 2013. Predilige i temi della ribellione al potere ingiusto, della libertà di amare e comunicare, e il rapporto con il sacro.

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