Compensi ai manager delle banche: le leggi del mercato contro il moralismo

Data:

42-33161542
Per il problema dei compensi (esagerati) ai manager delle banche bisogna imporre regole o affidarsi (totalmente) alle regole del mercato

Recentemente sono stati pubblicati i compensi ricevuti nel 2015 dai banchieri italiani: un aumento medio del 9,7% rispetto all’anno prima.
Da un punto di vista strettamente liberale, nulla da eccepire: sono gli azionisti a decidere se e quanto remunerare i propri dipendenti. Se io azionista sono soddisfatto dei risultati della mia azienda e ne traggo un buon guadagno, niente mi vieta di ricompensare chi mi ha fatto raggiungere questi risultati oppure di ingaggiare a suon di milioni chi penso possa far raggiungere all’azienda migliori utili. Un esempio ne è la Ferrari: nessuno ha da ridire sul fatto che ingaggia piloti a suon di decine di milioni, dato che questi fanno poi guadagnare tutti…
Ma che dire quando sappiamo che nelle assemblee delle banche comandano sempre gli stessi, che buona parte degli azionisti sono semplicemente clienti che mai intervengono e che servono solo a fare massa di manovra?
Che dire quando si viene a sapere che alla Popolare di Vicenza il presidente Zonin è stato remunerato con un milione di euro, che l’amministratore delegato ha avuto una buonuscita di 5,2 milioni proprio mentre le azioni della società scendevano a pochi centesimi e lo Stato (pardon, il fondo Atlante) doveva immettere un miliardo per salvare la banca?
Oppure quando si sa che il direttore generale della Montepaschi, Vigni, è stato liquidato con 4 milioni dopo aver creato un buco di 5 miliardi (viene voglia di dire che ha ricevuto quasi un milione per ogni miliardo di buco creato)?
Verrebbe voglia di dar ragione a chi chiede a gran voce un calmiere a questo genere di ricompense.
Ma da una parte si è visto come questo tipo di calmiere (caldeggiato a suo tempo da Draghi e Visco) sia facilmente aggirabile: con stock options, indennità varie, buonuscite o anche buonentrate (non è una battuta: ai nuovi amministratori della Popolare di Vicenza sono stati garantiti 2,67 milioni per assumersi l’onere di questa patata bollente!)
E d’altra parte questa è una soluzione di stampo dirigista e moralista: volere che non sia la legge naturale della domanda e dell’offerta – o la libera volontà degli azionisti – a decidere i compensi dei manager, ma una legge o, peggio, un’autorità estranea all’azienda.
Che fare allora?
Libertates propone di applicare in toto le leggi del mercato. Quando un’azienda non è più in grado di continuare, non crea valore ma lo distrugge, è giusto che fallisca (il fallimento non è in fin dei conti che la morte di un’azienda), che ne rinasca una nuova con altri responsabili, altri azionisti (dato che i vecchi non hanno saputo gestirla) eccetera.
In questo modo si salverebbero comunque (e forse meglio) dipendenti, depositanti e debitori di una banca, mentre chi l’ha gestita male ne dovrebbe rispondere al liquidatore con i propri beni e, in caso di comportamenti penalmente rilevanti, anche al giudice penale.
In questi casi non è vero che il liberalismo e l’economia di mercato non funzionino, è che non vengono applicati sino in fondo.

Guidoriccio da Fogliano

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